Quasi per caso mi trovai a passare per Livorno in una sera di questa estate.
Stavo tornando da un viaggio di lavoro ed il pensiero di mangiare un buon caciucco mi si era insediato nella mente già nel primo pomeriggio.
Certo, un panino ed una bottiglietta di acqua non erano stati un gran pasto, ma il desiderio di tornare a casa nella notte vinceva ogni appetito.
Poi come spesso accade, lo stomaco è quello che comanda ed una sosta sul lungomare livornese fu d’obbligo.
Mi ritrovai a camminare dopo una ottima cena sulla passeggiata ed i ricordi di molti anni prima cominciarono ad affiorare uno ad uno.
Erano passati esattamente quarant’anni da quando, ragazzo appena diciottenne avevo varcato i cancelli dell’Accademia Navale, pieno di speranze ma anche di tanta voglia di scappare lontano.
Era trascorsa una vita intera ed io mi ritrovavo nuovamente lì, quasi a chiudere un cerchio ipotetico. Ero ormai un uomo maturo, avevo scritto buona parte della mia storia, eppure quell’ingresso imponente mi incuteva la stessa soggezione di allora.
Un ufficiale, nella candida divisa estiva si apprestava a varcare la soglia per la libera uscita, tenendo per mano un’altrettanto elegante ragazza, ufficiale anch’essa. Belli, orgogliosi e sicuramente innamorati.
Rimasi incantato; non era il fascino della divisa a colpirmi, neanche la seppur bella ragazza, ma il turbinio di ricordi che cominciarono ad affiorarmi. Come era cambiato tutto, incredibilmente.
Mi venne in mente Francesca, figlia di un noto ammiraglio, e le sue lacrime in un bar a Messina mentre si chiedeva come mai a lei fosse negato il piacere di far la carriera militare solo perché donna. Aveva avuto infinite discussioni in casa e la risposta era stata sempre la stessa: “Mai una donna potrà avere posto su una nave militare”. Una condanna per lei intollerabile.
Chissà cosa pensò il giorno che le porte del servizio si aprirono alle aspiranti soldatesse.
Mi vennero in mente le interminabili serate di navigazione a parlare delle ragazze lasciate a casa. Gli sfottò rivolti ai più suscettibili, provocandoli sulla possibilità che la loro ragazza godeva di baci altrui mentre noi si affrontava i marosi. Oppure consolando chi, nonostante fosse già sposato, il servizio di leva li aveva obbligati a star lontano da casa.
Ma poi, per tutti, tanta nostalgia guardando una foto sorridente sul cui retro una dedica innamorata e strappalacrime ci faceva compagnia tutta la notte.
Mi ricordo di Lino, sergente veneto, e le sue colorite imprecazioni quando il telefono dell’unica cabina nel porto di Palermo era rotta, e non poteva chiamare Antonella, la sua “morosa” da cui riceveva ogni due giorni una lettera profumatissima.
Le mandava ogni volta una ciocca dei suoi biondi capelli che lui conservava gelosamente nello stipetto, a cui replicava con un ciuffo scarno dei suoi; con quella frequenza sarebbe rimasto presto calvo, non aveva una folta capigliatura.
Michele, single e disperato, gli chiedeva spesso di poter accarezzare quei fili d’oro ma Lino, severo, non gli permetteva neanche di avvicinarsi.
Un giorno si presentò con un biglietto sul quale un pezzo di nastro adesivo teneva ferma una ciocca nero fumo dei suoi: “Lino, chiedi alla tua ragazza se ha un’amica che me li vuole mandare…digli che se è bionda è meglio, ma anche mora va bene…”.
A pensarci ora quasi mi vergogno a raccontarle queste cose eppure erano tutte parte di un mondo che faticava a restare in equilibrio. Ed incredibilmente i capelli di Martina arrivarono seguiti dopo un po’ da una foto di lei sorridente, commessa in un negozio. Anche Michele aveva il suo sogno nello stipetto e molte notti insonni trovavano pace in quelle lettere dove l’amore bruciante sembrava ardere sino a farle incenerire.
“Ma come fanno i marinai”, raccontava una canzone di Lucio Dalla. Facevano così, vivendo tra sogni e realtà, una foto profumata ed ore di guardia al timone o in sala macchine. Libere uscite passeggiando inutilmente in cerca di un sorriso e licenze che sembravano sfuggire in un soffio di vento. E poi serate a bere birra, a raccontare notti d’amore senza sosta, baci e carezze che nessun altro aveva mai provato. Chissà quante storie sono finite, chissà quante altre hanno resistito alla tempesta della lontananza.
Ogni volta che una nave lascia la banchina mille sentimenti spesso controversi si incrociano, si urtano o semplicemente restano sospesi aspettando il rientro in porto. E’ così da sempre, da quando la prima nave ha affrontato il mare e, come Ulisse, un marinaio ha sentito nostalgia della sua terra e della sua donna.
Guardando quei due ufficiali allontanandosi per mano, lui e lei innamorati, capii che quarant’anni sono davvero tanti, ed i tempi erano cambiati. Forse quella ragazza era proprio la figlia di Francesca ed in lei si era realizzato il sogno della mia triste amica. O forse mi piaceva semplicemente pensare che così fosse; in fondo non ho mai smesso di sognare, come ogni marinaio.
http://www.bordighera.net/moschettimacomefannoimarinai.htm