Milagros, pelle di leopardo

Pelle di leopardo. La chiamavano cosi al bar dove aveva trovato lavoro anche se lei non capiva bene il perché. E poi non le piaceva per nulla come glielo dicevano, non era un complimento. Aveva fatto trent’anni da pochi giorni ed erano solo due mesi che era venuta a vivere in Italia. Ma in Brasile, dove era nata, sua madre le aveva insegnato a parlare italiano. Era il suo sogno poter andare a vivere in una grande città del nord, lo aveva sempre desiderato. Molti anni prima si era anche illusa che potesse accadere, quando quel biondo ingegnere era venuto al suo paese per guidare i lavori che avrebbero costruito la fabbrica in cui lei, sua sorella e quasi tutto il paese sarebbe andata a lavorare.

Era gentile, quell’uomo, e i suoi denti bianchi quando sorrideva la facevano stare tranquilla. Sua madre affidò il suo cuore a quel sorriso e anche il suo giovane corpo. Lui mentre l’amava le raccontava della sua città, delle luci e dei rumori. Ogni giorno lei metteva un pò del suo pensiero tra quelle braccia, sperando che lui la portasse con sé. Ma quando tutto fu pronto, quando i motori della fabbrica cominciarono a ronzare e la linea iniziò a produrre auto, lui partì in una mattina di primavera, dicendo che sarebbe tornato, pensando che non era vero.

E mentre lei avvitava il bullone numero tredici, del piantone dello sterzo, per centinaia di volte al giorno, la sua pancia color ebano si gonfiava di vita.

Teneva sempre nella tasca del grembiule una foto che aveva ritagliato dal giornale del paese, il giorno dell’inaugurazione quando il biondo dai denti bianchi tagliava il nastro con tutti, anche lei, riuniti nel piazzale.

Pelle di leopardo non sapeva nulla di questa storia, ma fu proprio il giorno prima di partire che sua madre gli raccontò tutto, mettendole quel ritaglio di giornale tra le pagine del libro che stava leggendo.

Durante il volo guardò più volte quella foto sbiadita, quel uomo dalla pelle chiara che forse le aveva regalato gli occhi, oppure i denti bianchi. Ma nulla di più. Si, una madre innamorata tutta la vita di un pensiero, un ricordo, il sogno di un viaggio che non avrebbe mai fatto.

Arrivata a Milano si era subito cercata un posto dove dormire e un lavoro, perché di soldi ne aveva pochi con se. Ma aveva le gambe veloci e la mente sveglia e denti bianchi con cui sorridere. Ma di correre tra i tavoli del bar non le piaceva, non le piaceva che gli uomini preferissero guardarla dietro, quando passava, piuttosto che negli occhi, quando le parlavano. Non sopportava che la chiamassero Pelle di Leopardo. Al suo paese non ce n’erano, leopardi e lei non sapeva neanche bene come fosse fatto. Solo Maria la guardava come una donna. Lavorava nel negozio del pane, di fronte al bar ed il mattino veniva a prendere il caffé e fare due parole. “Milagros”, le diceva “non stai bene qui, non ti rispettano…”. E Milagros le sorrideva, portando i cappuccini e le briosche ai tavoli, o il bianco secco al tavolo delle carte. Portava indietro i bicchieri vuoti e quei fastidiosi complimenti.

Milagros era il nome che sua madre aveva scelto, Miracolo, perché i suoi occhi erano chiari, verdi come lo smeraldo e la pupilla aveva un insolito contorno scuro che la rendevano unica. Una mattina Maria arrivò con un biglietto tra le mani, un numero di telefono. Lo aveva lasciato una signora, una benestante, perché cercava qualcuno che potesse occuparsi di suo padre. Voleva una persona forte, che fosse in grado di vestirlo ed accudirlo. E Maria aveva subito pensato a Milagros. “Certo, non è un lavoro divertente, ma pagano bene, ti rispetteranno e non ti sentirai mai chiamare Pelle di Leopardo”.

La sera prima di cena si presentò al numero indicato sul foglio, un portone decorato con cavalieri in battaglia era l’ingresso di quella casa splendida, con l’androne affrescato ed i vetri dipinti.

Le bastò il sorriso della donna che l’accolse per capire che quello era il suo nuovo posto. Entrò facendo un breve inchino, per onorare quella casa elegante e luminosa. La signora l’accompagnò nella stanza che avrebbe abitato, bella, piena di luce con un mazzo di fiori freschi sul tavolo. In un attimo quella buia soffitta che abitava ed il bar dell’angolo diventarono passato. Lentamente, ma in modo deciso, la pelle di leopardo le scivolava di dosso e restava solo Milagros, con i suoi occhi chiari e i denti bianchi come l’avorio.

Quando entrò nella stanza del Dottore, come lo chiamava la signora ebbe per un attimo timore. Paura che lui la guardasse come quelli del bar, che non la volesse in quella casa. Ma il Dottore sonnecchiava e quando aprì gli occhi le fece un bel sorriso, chiedendole di sedersi al suo fianco. Le giornate cominciarono a scorrere come lei aveva sempre sognato. Il Dottore era gentile, il male che lo stava divorando non aveva intaccato il suo buon umore e quando il male si faceva più forte voleva Milagros vicino, per stringerle la mano. E lei, che non aveva mai avuto un padre, gli asciugava il sudore e gli bagnava le labbra con l’acqua fresca.

Milagros ringraziò mille volte Maria di averle trovato quel posto, per lei era diventata la sua casa, il suo rifugio. Un pomeriggio mentre lavava il Dottore la sua tosse diventò terribile ed il suo sguardo vitreo spaventò Milagros che chiamò subito l’ambulanza. Piangeva e gli teneva le mani. Aveva paura che quel uomo morisse, che l’unica persona che la guardava negli occhi con rispetto la lasciasse. All’ospedale chiesero di avere vicino i parenti, c’era bisogno del midollo per salvarlo. Qualcuno si presentò, qualcuno non si fece trovare. Ma nessuno era compatibile con lui. Milagros chiese di prendere il suo, non voleva che morisse. “Non sei parente” le dissero, “non possiamo fare nulla…”. Ma lei insistette così tanto che le fecero gli esami, ridendo di quella nera cosi disperata.

Ma certe cose alle volte non hanno spiegazioni, neanche a cercarle in tutti i libri di scuola. Certe cose alle volte sembrano fatte per scriverli, i libri. Il midollo di Milagros era perfetto, come se lei fosse la figlia di quel uomo.

Restò al suo capezzale giorno e notte, senza tregua. Voleva rivedere il sorriso e quegli occhi chiari che la guardassero, con la dolcezza di sempre. Leggeva e rileggeva il libro di poesie che si era portata dal Brasile. Leggeva a voce alta, per lui, per il Dottore dalla pelle bianca come la farina. E mentre chiudeva il libro mettendo il segno con quel vecchio foglio che le aveva lasciato sua madre, il Dottore si svegliò e le guardò le mani, chiedendole cosa fosse quel pezzo di carta sgualcito, così scolorito.

Milagros con le lacrime agli occhi per il piacere di sentire la sua voce glielo sporse, raccontando quello che sua madre le aveva detto il giorno prima di partire.

Il dottore rimase ad ascoltarla, poi le lacrime annebbiarono i suoi occhi. Milagros. Miracolo, quello è il tuo nome. Figlia mia.

Certe cose alle volte non sono scritte su nessun libro, certe cose sono fatte per scrivere i libri.

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