Un po’ di tempo fa, almeno un migliaio di anni orsono, che non son pochi ma neanche poi così tanti, in un borgo dell’entroterra, poco distante dal mare, vivevano felici e di comune accordo un buon numero di abitanti. Trascorrevano le estati tra il lavoro dei campi e le sagre festose a cui partecipavano molti stranieri, provenienti da ogni dove, attirati dall’allegria e dalla buona cucina. I sabati si terminavano danzando e ridendo, bevendo dell’ottimo vino. Giù, sulla costa, i tanti viandanti chiedevano ai foresti ove ci si potesse divertire e tutti rispondevano: “Se borgo vai, tu ti divertirai…”, ripetendolo come una cantilena. Il buon principe che amministrava quel capoluogo sapeva bene cosa servisse affinché tutto fosse a modo per accogliere chi transitava e ancor meglio trovava albergo nel suo piccolo regno. Un triste giorno il Principe lasciò questa terra, il suo tempo era scaduto e la gente del borgo si trovò nel bisogno di cercare una nuova guida. La cosa non fu semplice come poté sembrare di primo acchito; qualcuno voleva un diretto discendente del principe defunto, altri pensarono a un giovane ricco venuto da lontano. Per altri era tra il popolo che si doveva cercare la nuova guida. A tutto questo si aggiunga che i cavalieri, fedeli servitori del Principe e legati a una antica tradizione, si trovarono in disaccordo gli uni con gli altri, giungendo a una rottura dei reciprochi legami. Insomma, una gran confusione iniziò a regnare invece che una buona e giusta guida. Dopo alcuni giorni il consiglio degli anziani prese la sana decisione di votare e dopo ore di consultazioni venne eletto un giovane Principe, forse non molto esperto di pratiche regnanti, ma virgulto e spavaldo, apparentemente coraggioso e sicuramente animato da buona volontà. Seguirono, come di consuetudine per il luogo, diversi giorni di festeggiamenti e nelle vie delle città a fondo valle si tornò a ripetere, a chi cercava festa: “SE borgo vai, la festa troverai…”. Volle il caso, o la disattenzione, che tra fuochi, balli e cene, il bosco andò in fiamme, minacciando i raccolti e il paese stesso. Il Principe fu subito allarmato e, nonostante fosse appesantito dalle abbondanti libagioni, cercò il suo mantello e la spada, pensando a cosa fare. Chiamò a raccolta i cavalieri, benché molti fossero assopiti sulle panche del lauto desco, urlando e sbraitando affinché si sbrigassero. Ma in realtà non sapeva come comportarsi, cosa si dovesse fare in questi casi. Intanto che principe e cavalieri correvano a destra e a manca, un giovane dal cuore impavido e temerario, si lanciò verso le fiamme, chiamando a raccolta i paesani e guidandoli tra le fronde a spegner le fiamme, scalzo. Fu per quel gran coraggio oppure per i tanti secchi d’acqua, ma le fiamme calarono di vigore abbandonando a malavoglia i rami secchi, spegnendosi definitivamente. Oh, grande giubilo; il paese, le vigne e gli orti erano salvi e così pure il bosco. Da quelle fumanti tenebre comparve allora un uomo curvo, stanco del gran cammino fatto, coperto da stracci, con un liso saio e camminando si appoggiava ad un bastone sul quale, legato con uno spago, sballottava ad ogni passo un piccolo sacchetto in cui monete o qualcosa di simile tintinnavano come campanelle. Il giovane scalzo, eroe di quella sera, gli si fece incontro, tendendogli la mano. “Vieni con noi, ti aspetta ristoro, vino e un bivacco. Chissà quale paura ha attraversato il tuo cuore in quel bosco, tra quelle fiamme…”. Il vecchio sorrise e si lasciò guidare, in realtà era cieco e una mano amica in quella tormentata sera era di grande aiuto. Seduto su una panca, accettò di buon piacere il cibo; coniglio con le olive e patate cotte sulla brace e bevve di un sol fiato la fiasca di ottimo vino che il giovane le porse. Attorno a lui molti, incuriositi dal vecchio, si sedettero ad ascoltarne le parole. Lui, il vecchio, si fece attendere un poco. Con i suoi occhi spenti scrutò le genti, aspettando chi stava attendendo e che non si fece attendere oltre. Il rumore degli zoccoli del possente stallone con il sella il Principe, seguito dai Cavalieri, riempì quel silenzio quasi religioso. “Chi siete, buon uomo, da dove venite?” chiese con voce imperativa. “Sono un viandante che viene da lontano, dalle isole del sole, laggiù nel mare di ponente” rispose il vecchio, con voce paziente. “Cosa portate con voi, che a noi può esser utile, oltre a quelle fiamme che io e i miei uomini siam stati costretti a domare…” tuonò ancor più insolente. Il vecchio girò il capo, affinché i suoi occhi spenti lo potessero vedere. “Porto ciò di cui avete bisogno, la verità, la legge e la giustizia!”. Ora la sua voce era ferma, come quella di un capo o di un uomo che conosce e nulla teme. Se ne accorse il Principe, che tentennò un istante, guardandosi attorno e cercando conforto nello sguardo dei cavalieri. Prese un calice e trangugiò un lungo sorso di vino. “Bevete vecchio, bevete, mangiate e riposate. Domani potrete riprendere il vostro cammino e portare ciò che celate nel sacchetto dove ce n’è bisogno. Noi qui viviamo già in pace, nulla ci serve…così come abbiamo spento il fuoco possiamo spegnere l’ingiustizia”. Il vecchio accennò un sorriso, tese la mano verso il giovine scalzo dicendo: “Tra le fiamme ho visto questo ragazzo, a lui racconterò la mia storia…”. Poi, alzandosi in piedi e salendo sul tavolo come farebbe un giovane virgulto, si rivolse al popolo che aveva riempito tutto il piazzale. “Vi porto un messaggio importante, quello che voi tutti aspettavate. La guida che cercate è tra di voi, ma solo il vostro cuore la può indicare. E’ stato detto, e Dio mi è testimone, che il vostro Borgo sarà felice e prospero solo a una condizione: “Se borgo guidato sarà da biondo e d’oro latino, che saprà cambiar colore alla natura e far cantar più forte il gallo ogni mattina, crescendo in terra una luna così grande da poter nutrire dieci famiglie, cuocendola in minestra”. “Ma son io…” gridò il principe, “i miei capelli sono color dell’oro, già dai primi giorni della mia vita”. E così facendo li tirava, mostrandoli a tutti. “Biondo e d’oro latino, così ha detto il Re di Roma e così è scritto nei sacri testi. E che sappia cambiar colore alla natura e coltivare la grande luna per sfamare dieci famiglie in una sera”. Detto questo scese dal tavolo, accarezzò il volto al giovane scalzo e riprese il suo cammino, ma dopo aver tolto dal suo sacchetto alcune semenze, che pose nelle mani del ragazzo. Sparì nel bosco ancora fumante, lasciando tutti in silenzio, attoniti, a meditar sulle sue parole. I giorni a venire furono di grande fermento, il Principe ordinò di colorare di blu gli alberi attorno al piazzale, poi alcuni, lungo la strada, li fece dipingere a strisce bianche e rosse. Infine raccolse i limoni ancora verdi, adornando le piante dell’olivo con questi, infilati a forza nei rami. Tirò il collo ogni mattina a un gallo diverso, nella speranza che il suo canto giungesse lontano, invano. Il giovane scalzo tornò ai suoi campi, aveva molto lavoro da fare. Curare le sue vigne, gli animali e l’orto. Ogni mattina bagnava i pomodori, ne rincalzava il terreno aggiungendo un buon concime, una terra rossa ricca di ferro e minerali che aveva portato dalle terre oltre i monti. Gli avevano assicurato che era un alimento straordinario, così come quei semi azzurri che aggiungeva al mais per le sue galline. Il gallo ne andava ghiotto e quando lo vedeva arrivare all’alba lo salutava con un canto senza eguali, lo udivano si giù nella valle. Che dire poi di quella zucca, figlia dei semi del vecchio; cresceva a dismisura, la più grande che avesse mai visto. Un bel giorno giunse un messaggero. Recava con sé una missiva e la lesse di fronte a tutti. A Roma, nella terra del Re, si sarebbe scelto un giovane, un uomo forte e di buona volontà, al quale affidare la guida. Una zappa affondata nei tempi remoti nella terra argillosa era ora saldamente fissata al suolo. Soltanto chi sarebbe riuscita a sfilarla da quel terreno avrebbe potuto guidare la sua terra verso un futuro migliore! Il giovane scalzo, eroe del grande incendio, nel cui orto crescevano i pomodori neri e le cui galline facevano le uova azzurre, lasciò la cura del più grande cocomero, simile ad una luna, alle attenzioni di sua moglie e salutò il suo gallo canterino, che in quell’occasione gli rispose con un suono mai udito tanto forte, e si diresse al casolare per indossare gli stivali per i lunghi viaggi. Roma lo attendeva e a breve doveva trovarsi la. Fu il Principe dal cavallo, brindando con una coppa di vino, che gli porse l’ultimo saluto: “Sono io l’uomo biondo, dai riccioli d’oro!”. Ma il messaggero, sfidando la sorte, gli fece eco: “Nel nome latino troverai la tua strada, tu, che sei figlio di Marte, piccolo martello per piccolo chiodo”. Pochi compresero l’enigma, mentre il giovane dagli stivali color del vento, discese la strada verso valle, che portava a Roma. Ripeteva tra sé: “Se borgo vuoi guidare, corri veloce verso il mare…”.
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