Caio Mario

Sestante TroughtonIn un vasooo – di porcellanaaaa – c’era rinchiusa una bella cinesinaaaa”.
Così canticchiava mentre saliva la corta passerella che portava a bordo del Magia, sul pontile di Montecarlo. Caio Mario era il suo nome, davvero originale.
L’armatore, il proprietario della barca, ce lo aveva presentato come un esperto di nuove tecnologie. Era un suo nipote e l’aspetto baldanzoso e sicuro dava l’idea dell’alto concetto che aveva di se.
Il Magia era una splendida imbarcazione d’epoca, con una doppia randa, che quando aveva tutte le vele al vento contava ben sette ali per planare veloce sul mare.
Il suo proprietario, un noto armatore genovese, ci aveva raccomandato di metterla al vento il più possibile.
Voleva che tutti ammirassero la sua eleganza e la sua linea, nonché la sua capacità di tenere il mare.
Era il simbolo della compagnia di navigazione di cui era a capo ed era degna del suo ruolo.
Io avevo da poco finito il militare e quello era il mio primo impiego; nonostante i miei due anni di mare la mia esperienza a vela era davvero scarsa.
Sotto naia avevo imparato tanta teoria, sin tanto che ero stato in accademia e qualche tecnica di combattimento per il periodo trascorso al San Marco.
Poi tanto mare, ma sulle bettoline porta acqua che nulla avevano da spartire con le bianche vele d’altura.
L’armatore aveva quindi assunto un vero vecchio lupo di mare, il comandante Sattalich, di origine slava.
Nonostante il suo cognome era un vero francese. Assomigliava molto all’ispettore Clouseau, con due baffetti a decoro di un viso molto vispo, nonostante la sua età avanzata.
Sempre elegante ed impassibile, raffinato ed un po’ strafottente; un vero francese!
Viveva sulle alture di Montecarlo ed aveva una serie di storie sentimentali molto intrigate, sulle quali venni istruito per tempo, prima di fare irrimediabili gaffes.
Anche lui alla vista di Caio Mario provò uno strano senso di disagio, come chi si accorge per tempo che da li a poco inizia a piovere. Come fu a bordo iniziò a maneggiare un’insolita apparecchiatura, quella che oggi chiamiamo GPS e che tutti hanno a bordo, ma allora era una vera novità.
Cominciò a pontificare che quello era la stella polare del futuro e che senza quella ogni marinaio era un disperso nel mare blu.
Il comandante sorrise: aveva passato la sua gioventù navigando sui cargo a vela della compagnia del padre sulle rotte dell’Adriatico e conosceva l’uso del sestante meglio di chiunque altro.
Mi diede l’ordine di prepararmi a mollare gli ormeggi perché avremmo fatto rotta verso le Porquerolles.
Si era alzato un vento fresco e teso, l’ideale per quella barca. Caio Mario cominciò ad armeggiare con i suoi marchingegni, digitando, premendo pulsanti, cercando di interfacciare il gps con il pilota automatico.
Intanto prendemmo il largo e sospinti da quel bel maestrale puntammo la prora a sud est con le vele gonfie di vento.
Dopo qualche ora il mare rinforzò e la barca era decisamente sbandata anche se non dava l’idea di essere a disagio. Sattalich stava al timone sgranocchiando un grissino.
Con il suo inconfondibile tono mi chiese: “Un petite verre de vin, si vous plait, Valerio”.
Era il suo modo per intraprendere un racconto del suo incredibile passato. Buttava di tanto in tanto un’occhiata verso la costa e riusciva in questo modo a tenere la barca in rotta senza neanche guardare la bussola.
La sicurezza che infondeva era tale che nonostante le onde spesso traversassero la coperta, noi si stava tranquillamente a chiacchierare.
Caio Mario entrava ed usciva, non si capacitava di come il suo Gps non prendesse il segnale. Forse l’antenna non faceva ben contatto, forse le nuvole schermavano il segnale. Fatto sta che in questo sali e scendi concitato, mentre un’onda spaccata dalla prua avvolse la barca, lui perse l’equilibrio e miracolosamente rimase a bordo grazie ad una sartia che si trovò sulla sua caduta.
Non fu così fortunato il suo marchingegno diabolico che, senza indugio, si immerse nelle profondità più oscure sparendo rapidamente alla vista. Con lui tutte le convinzioni e le sicurezze di Caio Mario.
Fradicio e sconsolato si sedette sulla scaletta che portava sotto coperta, dichiarando che da quel momento non avremmo più avuto la certezza di dove ci si trovasse.
Beffardo, sogghignando sotto i baffi, come un vero francese, il comandante lo guardò trionfante.
“Non c’è problema”, disse “io so esattamente dove siamo….”.
“Ah si?” rispose Caio Mario, “e dove siamo di grazia?”.
“Siamo qui”, fu l’immediata risposta di Sattalich.
Poi si rivolse a me dicendo la mitica frase: “Un petite verre de vin, si vous plait. Puor boire…”.
Certo, comandante, per bere. Cos’altro ci dobbiamo fare, con un bicchiere di vino?

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