Oramai faceva parte delle mie abitudini. Tutte le mattine quando uscivo per andare al lavoro deviavo il percorso per attraversare i giardinetti. Immancabilmente Marisa era la, con il suo carrello della spesa dove, immersa in sacchetti di nylon, teneva la sua pentola con il cibo preparato la sera prima. Immancabilmente i suoi “Principi” arrivavano composti. Io vedevo attraverso le apparenze e per me lei era una vestale che incontrava al tempio gli dei dai lunghi baffi. Non so quanto la mia inevitabile fantasia avesse voluto colorare quell’immagine o quanto, in realtà, quel piccolo angolo di giardino fosse un luogo magico, figlio di un’altra dimensione. Ognuno poteva vederci cosa meglio credesse; per i più una vecchia “gattara”, vestita di abiti lisi, serviva un pasto a gatti randagi, contravvenendo per altro a disposizioni comunali avverse al suo fare. Ma in fondo quante volte transitiamo davanti a personaggi che vivono al bordo della società, mentre imbracciano un violino, una chitarra o una matita posata su un pezzo di carta e, distrattamente, ci lasciamo catturare da quella musica o quel disegno, lasciando una moneta in cambio di una emozione fugace, per tornare ai nostri pensieri, alla nostra realtà quotidiana senza prenderci cura delle emozioni che per un attimo, uno soltanto, hanno attraversato la nostra mente. Eppure ognuno di loro ha una storia racchiusa in quelle corde, una vita, uno spirito nobile che anima la loro mente. Non tutti certo, molti strimpellano maldestramente, ma noi in realtà sappiamo riconoscerli d’istino, passando oltre. Alcuni però ci catturano, la nostra anima, per qualche istante, danza con la loro, regalandoci un sogno fugace. Con Marisa era diverso, lei non chiedeva nulla, ma per me che la incontravo ogni mattina da parecchi giorni, era un intermezzo in un mondo che viaggiava su altri ritmi, un legame con un “soprannaturale” fatto di emozioni pure. “Buongiorno…” la salutai, posando la valigetta del computer a terra. Avevo con me due scatolette di cibo per gatti, portavo il mio piccolo contributo al tempio. Lei mi sorrise, facendomi un cenno con il capo, ma senza voltare lo sguardo verso di me. “Le voglio raccontare di Ettore, stamattina, quel bel micio nero con una stella bianca proprio in mezzo alla fronte…” Lui, Ettore, era seduto sopra un tronco mozzato, quasi fosse su un piedestallo. Fiutava l’aria e il suo sguardo, occhi verdi smeraldo, scrutavano intorno, volgendo lentamente il capo. Non stava con gli altri, sembrava non farne parte. Il corpo affusolato e pelo lucido, mi ricordò certe immagini di gatti visti al Museo Egizio, su antiche iscrizioni. Non aveva fretta, al contrario degli altri “ospiti” che si affollavano attorno alle gambe della “gattara”. Lui no, osservava le mani di Marisa mescolare il cibo nel pentolone, distraendosi per inseguire i suoi pensieri, le sue “visioni”. “Vede caro amico,” mi disse Marisa, “lui è un gatto con una storia davvero speciale! Non è randagio da sempre, lui viveva in casa di una anziana cartomante che abitava in un quartiere qui vicino. E’ un gatto sterilizzato, come gli antichi eunuchi. Ha letto le saghe di Wilbur Smith? Ricorda Taita, quel meraviglioso personaggio che ha popolato le pagine dei suoi romanzi dedicati all’antico Egitto? Beh, io credo che in lui viva lo spirito di quella grande persona.” Abbassai lo sguardo, non volevo mostrare la mi espressione sfiduciata e scettica. “Mi crede pazza, vero? Forse lo sono, ma mi ascolti. Ettore viveva in quella casa e presenziava ogni seduta della vecchia signora. Quando arrivava una cliente, lui immancabilmente prendeva posto su un cuscino di velluto, a fianco del tavolo dove venivano lette le carte. Si metteva nella posizione in cui lo vede ora e fissava lo sguardo verso l’ospite. Iside, così si chiamava la cartomante, iniziava la sua attività, raccontando ciò che leggeva nelle carte e il gatto seguiva a tratti le sue mani, scrutando le smorfie di chi aveva di fronte, immobile con il corpo. Un giorno venne un signore, non aveva bei modi. Non che fosse scortese, ma il suo fare era grossolano e saccente. Sa, uno di quelli che vanno dal medico e pensano già di avere le risposte, diffidente e superficiale. Iside si sedette comunque al suo posto, mescolando le carte. Ma Ettore, invece di trovare posto sul suo solito cuscino, salì sul tavolino, strofinando il muso contro le mani piene di rughe della cartomante, non lasciando spazio per posare le carte. L’uomo chiese se non si poteva allontanare il gatto, che lui non aveva tempo da perdere. Iside, gentilmente, lo accomiatò, dicendogli che oggi era una giornata in cui le carte non avrebbero “parlato”. Sbuffando, rimettendosi il cappello, l’uomo uscì protestando, dicendo che tanto lo sapeva, erano tutte “balle”. Il gatto lo seguì, a distanza, e quando fu uscito ritornò sui suoi passi percorrendo esattamente il cammino che aveva fatto l’uomo, salendo sulla sedia dove aveva posato il cappello, strofinandosi con la schiena dove lui si era seduto. Iside restò a guardarlo; terminato il percorso andò fuori sul terrazzo, salendo sulla ringhiera. Restò li per quasi tutta la mattina, fissando il vuoto, ora a destra ora a sinistra. Non lo aveva mai visto fare così. Rientrò solo nel pomeriggio, quando una signora che teneva in mano un fazzoletto con il quale si asciugava le lacrime, chiese un consulto. Dalla cartomante non andavano soltanto persone semplici. Spesso trascorrevano il pomeriggio con lei personaggi di rilievo, politici, gente dello spettacolo e qualche volta anche ricchi possidenti in procinto di investimenti importanti. Si, le sembrerà assurdo, ma era molto stimata. Sapeva leggere nei cuori delle persone e quindi sapeva spiegare cosa il futuro avrebbe loro riservato. Perché mi creda, noi siam convinti che il futuro sia un mistero, un caso, un imprevisto. Invece tutto ciò che ci accade è ciò che noi chiediamo. Soltanto che spesso noi non sappiamo quale sia la nostra verità profonda.” Mi mostrai perplesso, non riuscivo a comprendere e lei, Marisa, prima che la interrompessi, continuò così: “Le faccio un esempio. Se le chiedo cosa desidera probabilmente mi risponderà denaro, o amore. Una vincita, una donna innamorata come piace a lei. Ma quello che nel suo profondo vuole probabilmente non è quello. Altrimenti lo avrebbe già raggiunto. Spesso anche le malattie, quelle che ci fanno tanto paura, sono un rimedio che il nostro io trova come via di fuga a qualcosa che ci opprime e che non sappiamo riconoscere”. “Ebbene, la signora che era arrivata quel pomeriggio era disperata. Il suo uomo, un distinto signore con il cappello di panno, non la voleva più, si era invaghito di una giovane donna che lo stava dilapidando. Lei gli aveva chiesto un ultimo favore, andare da lei per fare un consulto, per fargli “vedere” quale infelice destino aspettava tutti e due. Lui era tornato a casa per fare la valigia, dicendole in malo modo che era stufo di tutte quelle baggianata e così era uscito di casa, definitivamente. Ettore si sedette sul suo cuscino di velluto, fissandola come sempre faceva. Le carte parlarono e la signora ripose il fazzoletto zuppo di lacrime, tutte quelle che poteva contenere. Quando uscì era un’altra persona, cosciente che ciò che era accaduto era il meglio per lei. Finiva li una vita di soprusi, di infelicità, c’era spazio per una vita nuova.” Ettore aveva rifiutato di presenziare a quell’anima impura e ne aveva raccolto, camminando per la casa, ogni sua energia negativa portandola all’esterno della casa, rimettendola all’Universo dove tutto ha origine e fine, sia il bene che il male. “Poi la povera Iside terminò i suoi giorni ed Ettore venne dato a una famiglia sullo stesso piano della casa, ma ne fuggì dopo due giorni. Nessuno lo vide più per qualche mese, sinché un bel mattino lo vidi arrivare qui al giardino. Trovò subito posto su quel tronco mozzo, era il suo altare. Da lì annusa l’aria, raccoglie dall’etere tutte le vibrazioni che l’anima della sua Iside ha lasciato su questa terra e la sera, quando cala il sole e si intravedono le stelle, scruta il cielo osservandole una ad una. Lascio a lei immaginare cosa cerchi tra esse. No, non pensi di avvicinarlo e accarezzarlo, non glielo permetterà. E’ uno spirito libero. Anche gli altri gatti lo ignorano, lo rispettano. Vuole sapere chi è l’unica che può avvicinarlo? No, non sono io. C’è una bambina che ogni tanto viene ai giardinetti. Lei lo chiama e lui arriva. Le si siede vicino e la guarda, mentre lei gli racconta una fiaba. Non lo accarezza, no. Non ho mai visto che lo facesse. Si guardano negli occhi e forse lui, in lei, ha trovato la magia che era in Iside. Chissà, forse un giorno quella bimba diventerà una guaritrice, un medico o semplicemente una persona capace a parlare al cuore delle persone. Mi crede pazza? Forse lo sono…” così dicendo riempì una terza ciotola che portò sotto il ceppo di legno e Ettore ne scese per mangiare. Ripresi la mia borsa e salutai Marisa. “a domani, buona giornata…”. Si, oramai per me quell’incontro era inevitabile. Forse anche io ero un po’ pazzo ma, d’altronde, chi di noi non lo è?
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