Fantasmi a Bordighera – Una storia per Halloween

villalaloggiaQuando ero ragazzo girava voce che a Bordighera ci fossero i fantasmi! Era una storiella che ci piaceva raccontare per impressionare le ragazze e, con la scusa, accompagnarle sulla via dei Colli di sera alla ricerca delle misteriose presenze che, a dir di molti, abitavano una villa dall’aspetto misterioso; “La Loggia”! Dopo il Carillon, ora il Belvedere da cui si può ammirare un meraviglioso panorama sulla città e, guardando verso destra, sulla luminosa costa francese, bastava proseguire verso la curva in direzione dell’autostrada e prima della via Degli Inglesi ci si trovava di fronte quella angusta quanto elegante costruzione dalle persiane sempre chiuse, disabitata anche se in buone condizioni. I più si fermavano qualche istante per la strada, ricordando terrificanti apparizioni e approfittando dei brividi di paura della ignara sventurata, le cingevano le spalle con l’intento dichiarato di proteggerle ma in realtà con la voglia di pomiciare. I più impavidi si avventuravano nelle fasce sottostanti, dove la suspence era sicuramente più avvincente e le possibilità di riuscita da parte del “conquistatore” crescevano rapidamente. Certo, vedere l’imponente costruzione illuminata dalla luna, sovrastante e inquietante scatenava la fantasia e ogni fruscio, gatto o pantegana che fosse, diventava subito una presenza dell’aldilà a passeggio nel giardino. Qualcuno asseriva che, spintosi un po’ oltre nel petting, sdraiato tra le frasche, venne raggiunto da una sassaiola impertinente a cui rispose con una fuga a gambe levate, ricomponendo i vestiti durante la fuga. Leggenda, certo, a cui nessuno ha mai dato tanto credito anche se, in realtà, la splendida villa restò per anni disabitata e senza mai una luce accesa all’interno. Ma una sera in cui, percorrendo quella strada, la mia moto rimase senza benzina e fui costretto a spingerla per ritornare in città a fare rifornimento, mi trovai a passare li davanti tutto solo. Era una nottata in cui la luna splendeva sul mare illuminandolo di mille riflessi dorati e le ombre dei cipressi, delle palme e dei torrioni della casa si allungavano sulla strada, disegnando insolite figure. C’era pure vento, quel caldo vento dell’agosto bordigotto che agitava le fronde e il chiaro-scuro che le ombre delle fronde lasciavano sulla strada confondevano il cammino. E’ una storia assurda, lo so, ma adesso che si sta avvicinando Halloween e i bambini cominciano a preparare i loro terrificanti travestimenti, val la pena di raccontarla. Ebbene, mentre spingevo il mio “ronzino” a testa bassa faticando non poco (in quel tratto la pendenza era svantaggiosa), vidi seduto sul muretto, seduto di lato e con le braccia appoggiate a un bastone, un elegante signore con la bombetta in testa, dal cui gilet partiva una catenella argentata a cui era appeso un monocolo, infilato nel taschino dove trovava posto anche un variopinto fazzoletto a scacchi. Il viso nascosto dall’ombra del cappello, lasciava trasparire due lunghi baffi arricciati ad anello, molto lunghi e curati. Un uomo davvero elegante le cui scarpe, di vernice nera, splendevano alla luna tanto erano lucide. La giacca, di velluto nero, aveva lunghe code che lui aveva poggiato con cura sul muretto e mi accorsi ben presto che indossava un frack di pregiata fattura. Altrettanto splendente era l’anello che portava al dito su cui una corona tempestata di minuscoli brillantini luccicava prepotentemente. Un uomo di classe, pensai subito. Ma cosa ci faceva lì, a quell’ora, lontano da ogni fermata della corriera che per altro a tarda notte aveva sospeso il servizio. Un po’ perché stanco e un po’ incuriosito mi fermai, mettendo il cavalletto alla moto, alzando lo sguardo in segno di saluto. L’uomo rispose al cenno, portando due dita al cappello, sorridendo. “Guardi che la corriera a quest’ora non passa più…” mi premurai di dirgli, nell’intento di iniziare una conversazione. “La ringrazio, ragazzo, ma non attendo nessuna corriera. Sto aspettando Elisabeth, la mia fidanzata. Che anche questa sera è in ritardo…” aggiunse, guardando l’orologio che teneva nel taschino. “Ma, si sa, le donne amano far aspettare e noi uomini, in fondo, siamo contenti dell’attesa”. Mi stupì questa sua voglia di raccontare, era un personaggio davvero insolito. Mi sedetti al suo fianco, incuriosito. Lui, senza farsi pregare, continuò il discorso. “Siamo inglesi, lo avrà sicuramente capito dall’accento, anche se ormai, dopo tanti anni, ho imparato bene la vostra lingua”. La sua cadenza era inequivocabile e feci cenno d’intesa. “Parla molto bene l’italiano, è molto che abita qui?”. “Oh, si, moltissimi anni. Lasciai l’Inghilterra in fretta e furia, l’amore fu il motore che mi spinse in questa terra. Ma magari l’annoio, con le mie storie…”. “No, la prego, racconti, se le fa piacere…” risposi; la mia curiosità a questo punto non aveva limiti. “Ecco, vede, Elisabeth allora faceva la ballerina. Era bellissima, i biondi capelli raccolti sul capo, un abito di tulle variopinto. Era la più bella dello spettacolo. Io andavo ogni sera a vederla, avevo prenotato fisso un tavolino in prima fila e quando lei scendeva dal palco, per ammiccare i presenti, incantandoli con la voce, si fermava dietro la mia sedia, giocando con il bavero della giacca. Io sentivo il suo profumo delizioso, ma non osavo girarmi, per la paura che si allontanasse. Sa, le ballerine son così, giocano a provocare ma guai a sfiorarle. Almeno quelle di classe come lei. In certe bettole succede di tutto, ma non al White Horse di Londra. Non le facevo mai mancare i fiori nel camerino, ogni sera, e lei dal palco mi sorrideva, guardandomi fisso per tutto il tempo. Una sera, una triste sera, l’unica in cui io no potei andare allo spettacolo perché lontano da Londra per certi affari, lei cadde malamente dal palco e il danno subito le tolse la vita in pochi giorni”. Vidi lo sguardo dell’uomo abbassarsi, con la mano si aggiustò il risvolto del pantalone. Era addolorato, certo, ma non disperato, anzi mi sorrise. “Allora,” disse continuando con rinnovato fervore, “scelsi di fare l’unica cosa possibile per non perderla, e nella notte più buia che mai vidi in città, saltai la ringhiera e volai nel Tamigi”. Feci un soprassalto, fissandolo sbigottito. Alzò lo sguardo al cielo, fiero, e per la prima volta vidi bene il suo viso, i suoi occhi. Erano trasparenti, così pure le guance, la bocca ed il mento. Solo i baffi erano di un nero più nero della notte. Ero sbigottito, anzi, raggelato. Avevo anche paura eppure non avevo il coraggio di alzarmi, quasi che se avessi svelato la mia incredulità sarei potuto diventare mercé di quella persona. In realtà lui si accorse delle mie emozioni, ma non ne tenne conto, riprendendo quell’assurdo racconto. “La cercai per tutta Londra, un’anima come la sua non sarebbe potuta sparire senza lasciar traccia e io mi fidai di ciò che più mi aveva colpito di lei, il suo profumo. Fu così che dopo giorni passati a vagare di casa in casa, una notte, per le scale di una vecchia ed elegante abitazione sentii in lontananza un canto, era la sua voce. Ne intravidi l’ombra alla finestra, abitava la casa di una contessa londinese, vedova, che amava viaggiare per l’Europa. Si accorse di me in strada, non fu sorpresa che anche io fossi come lei, anima libera. Mi sorrise, e questo mi bastò. Mi nascosi nel negozio di un calzolaio a piano terra. Sa, per noi l’importante è trovare rifugio durante il giorno, quando sorge il sole. Coloro che si occupano di raccogliere le anime di chi passa a miglior vita lavora durante il giorno. Dall’alba al tramonto. Questo è il contratto che hanno stipulato con il Padre Eterno. Riempiono un grosso sacco fatto con tessuto di nuvola e riportano le anime all’origine. Chi sa questa cosa o se ne accorge per tempo, sfugge e continua a vivere su questa terra, ovviamente come fantasma! Sempreché lo desideri, s’intende…”. Trasalii vistosamente, facendo alcuni saltelli sul muretto poggiando le mani per allontanarmi. Lui mi guardò stupito: “Ma come, non l’aveva ancora capito? Come può pensare che un signore inglese dell’800 possa ancora essere in vita?”. Mi chiesi che qualità e che quantità di Rossese avevo bevuto al festino di Seborga, era tutta una follia, un delirio. Per fortuna che avevo finito la benzina, altrimenti ubriaco com’ero avrei centrato un muro, prima di arrivare a casa. “Le interessa sapere il seguito?” mi chiese. Senza aspettar risposta riprese il racconto: “Ebbene, Elisabeth mi segnalò, una sera, che la contessa sarebbe venuta in Italia, con la nave, per stabilirsi proprio qui. Io la vidi dalla finestra che preparava il bagaglio e quando iniziò a ritirare i prodotti di bellezza sulla toilette incrociai gli occhi sorridenti della mia dama che maliziosamente ammiccarono, un attimo prima di…puff…sparire nel portacipria della signora. Ancora una volta seppe stupirmi! Capii che era ora di agire e anch’io dovevo trovarmi un passaggio. Avevo sentito nel negozio del falegname alcuni giorni prima un signore dall’aspetto bizzarro, uno studioso o uno scienziato, che ordinava una cassa di legno, un grande baule, nel quale riporre le sue strumentazioni. Doveva venire proprio qui, a Bordighera, per studiare certe coltivazioni di agrumi di cui si sapeva poco. Non esitai, mi nascosi tra le fibre del legno e lì rimasi per giorni e giorni, incurante di ciò che mi accadeva attorno. Un viaggio terrificante, mare grosso, vento e tempesta. Interminabile. Per fortuna che avevo con me un sufficiente numero di sigari da fumare, la sera, sul ponte, quando tutti, tranne la guardia di coperta, erano a dormire. angstbordighera_173294Di giorno, poi, mi rifugiavo tra le pieghe delle assi perché, anche se eravamo in alto mare, gli spazzini delle anime facevano la loro ronda! Giunti a Bordighera il mio caro scienziato andò ad alloggiare in un Hotel sulla via Romana, Hotel Angst, dove ancora oggi ho dimora. Elisabeth e la sua contessa invece si trasferirono qui, in questa splendida villa che ora, disabitata, è rimasta la reggia indiscussa della mia principessa. Certo, non ci siamo ancora decisi, ma un giorno le chiederò la mano e verrò a vivere con lei. Per adesso vengo qui ogni sera, e l’aspetto. E’ così dolce e romantico questo luogo, soprattutto quando sorge la luna e rende il mare un incanto”. Così dicendo volse lo sguardo all’orizzonte, nell’estasi della sua attesa. Poi, porgendo lo sguardo verso le finestre della casa, mi indicò quella più in alto: “Eccola, la vede? E’ pronta, ora scende e potrò riabbracciarla…”. Guardai dove mi indicava, senza veder nulla. Scrutai con cura ogni infisso, nulla. Tutto completamente buio, solo il vento che era rinforzato faceva sbattere ripetutamente una persiana. Abbassai lo sguardo per richiedergli dove fosse la sua Elisabeth, ma non c’era più neanche lui. Sparito. Dissolto. Guardai allora la mia moto, unico legame sicuro con la realtà e mi accorsi che il rubinetto della benzina aveva ancora disponibile la posizione di riserva. Fu il rombo del motore il segnale per ripartire a tutta velocità, con la strana sensazione di essere seguito. Un brivido freddo, la bocca dello stomaco serrata al punto di fare male e il proposito di non bere più troppo Rossese la prossima serata di baldoria. Poi le luci di Bordighera, il profumo della città e i suoi rumori mi rassicurarono a sufficienza. Però da allora, prima di passare davanti al La Loggia, controllo sempre di avere il serbatorio pieno.

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