Il Segretario e quella gran pertica della Manleva

tagliatele la testaIn un insolito pomeriggio d’estate, nella città di S., che per non far pubblicità gratuite chiameremo così, mi ritrovai a ritirare un premio, frutto di impegni presi e assolti con dovizia, stupito e sorpreso di esser stato scelto tra tante menti illuminate, di me sicuramente più meritevoli. Ansioso per l’evento, a cui tanto per cambiare arrivavo con un procinto di ritardo, salii rapido con l’auto per la strada che portava al magico luogo, sospirando un improbabile parcheggio. Faceva caldo, come è d’obbligo in un pomeriggio di quella stagione, e il pensiero di lasciar l’auto in cattiva sosta, al sole, con il rischio di trovare al mio ritorno l’immancabile multa, mi attanagliava. Ma era un rischio che correvo con piacere, tanto inusuale e improbabile era la ragione per cui io fossi lì. Fu con gran stupore che al fondo della via, sotto le magiche fronde di un albero di prugne, carico di frutti maturi, scoprii che alla sua ombra due strisce bianche al suolo mi mostravano un posto libero, quasi che il destino mi aspettasse, generoso e compiacente. Parcheggiai l’auto, rimettendo a posto la camicia, una volta sceso, e pentendomi di non aver indossato una giacca e la cravatta; non amo mostrar eleganza ma viste le mura di quel castello e intuito ormai in ritardo la sontuosità del luogo, iniziai a salirne la scalinata con un vago senso di disagio. Varcando la soglia del grande portone socchiuso rimasi abbagliato dal risplendere degli specchi alle pareti, da alcune pregiate tele che ritraevano battaglie famose e sulla destra, l’ingresso nella prestigiosa sala destinata alla cerimonia. Mi venne incontro Bianconiglio, con la sua immancabile fotocamera, accogliendomi con ossequio: “Venite, venite, stiamo per iniziare…” Lasciai il passo alla mia splendida compagna, elegante nel suo vestito scuro, con i capelli raccolti sulla nuca, dai bagliori corvini riflessi dagli specchi con cui la stanza era adornata. Seguimmo Bianconiglo, che con gran cortesia ci aveva riservato un posto addirittura in prima fila, proprio in fronte al lungo tavolo sui cui troneggiavano vasi di infinita bellezza, ricolmi di fiori di ogni tipo, rigorosamente saldati tra loro, essendo questi in plastica. Sul fondo, alla parete, un maestoso lenzuolo bianco che ne ricopriva completamente la superfice, a caratteri cubitali, era decorato con festoni natalizi come quelli con cui si decora l’albero durante le festività: “Concorso internazionale delle Celebrità”, questo il titolo dell’evento che, abilmente intrecciati, i nastri argentei mostravano alla platea. A fianco di ogni lettera, incollati con il biadesivo, stavano lettere in formato ridotto per tradurre, a chi non avesse l’estro artistico di comprendere l’opera, il titolo.

Ci sedemmo nell’attesa che l’evento avesse inizio, che il brusio avesse fine e che ognuno trovasse posto a sedere. Dietro al maestoso tavolo trovavano posto La Regina di Carte, alla sua sinistra un alto cerimoniere intento a ripassare il copione della giornata e alla sua destra, elegantissima ed etera, quasi a sembrar Caterine Denevue raffigurata da una statua di cera, la Presidentessa dell’evento, visibilmente imbarazzata per quello che già sapeva sarebbe stato l’epilogo del pomeriggio. Bianconiglio, segretario indaffarato, scattando foto a ripetizione, si aggirava tra le sedie mostrando il posto a chi, ben più in ritardo di me, si affrettava ad entrare, scusandosi ripetutamente. Guardai la mia meravigliosa compagna, che con un sorriso di cortesia, si guardava attorno, sicuramente chiedendosi a quale incredibile avventura stesse partecipando. La Regina di Carte, in punta di piedi alla ricerca di superare in altezza i vasi di fiori, cercava con lo sguardo tra la folla il Segretario, ripetendo a gran voce: “La Manleva, la Manleva…”. Mi incuriosì non poco questa assenza e anche io girai indietro lo sguardo, alla ricerca di questo affascinante personaggio che tardava ad arrivare. Un poco a lato del tavolo un musico, pianista, suonava accordi per provare i volumi adatti del suo strumento e una elegante signora, con un cappello a larghe falde di paglia intrecciata, manovrava il mixer che accudiva microfoni e musica, mentre dagli altoparlanti fuoriuscivano suoni e fischi improponibili. “La Manleva, sennò non iniziamo…” tuonava la Regina, insultando Bianconiglio, segretario irrequieto che per l’occasione e in risposta, sparò due flash abbacinanti nella sua direzione. Poi, come per miracolo, come accade in queste occasioni, il brusio calò e la cerimonia ebbe inizio. Srotolando un grande papiro che ne copriva completamente la figura, la regina iniziò la sua presentazione con i ringraziamenti di rito: “Grazie all’impegno di molti, alla disponibilità di tutti, anche questo anno siamo qui a celebrare e ringraziare artisti, poeti e scrittori per l’impegno assunto nel promuovere nel mondo l’immagine del mio Regno”. Poi voltandosi di lato tuonò: “Segretario, la Manleva, sennò non si va avanti…”. Oh quanto avrei voluto che questa desiderata signora si presentasse, anzi fosse arrivata per tempo. Questo leggero, anzi prorompente stato della Regina mi metteva in ansia. Ben sapevamo tutti quale era la sua reazione nel momento in cui le cose non erano di suo piacimento. Il Segretario, passando un dito ad allentar la cravatta sul collo, sfogliava le carte senza sosta, ma della Manleva nessuna traccia. Già cominciava a temer per il suo collo!

Venne così presentato il primo candidato che, timidamente, si avvicinò al tavolo, per raccogliere l’encomio e mostrar a tutti le sue abilità. Avvicinandosi al microfono iniziò le note di una ben nota canzone popolare, tra gli inneschi dello stesso con fischi spaventosi. La regina socchiuse gli occhi, sognante. Quelle note la distraevano da ogni pensiero e gongolandosi sulle gambe si lasciò andare ad un accenno di danza. Ma la sua estasi durò il tempo di una canzone e rivolgendosi al cantante romantico, con sguardo truce gli rivolse perentorio una domanda: “Ma lei ha la Manleva?”. Il pover’uomo si inchinò, mostrando le sue carte e dopo che il cerimoniere le ebbe esaminate, la Regina riprese il suo delizioso sorriso, porgendo il diploma. Strette di mano, complimenti, saluti verso il pubblico che con un caloroso applauso mostrò gradimento per l’esibizione, scambiando tra di loro commenti positivi. “Che bravo, molto bravo… Che bella canzone… Ma che cos’era? Ahhhh, ecco, proprio bravo…”. Sedutosi al suo posto, dove i fans che lo accompagnavano continuavano ad applaudirlo, la Regina chiamò al suo cospetto un Trombettiere, un suonatore di tromba, dalla lunga barba incolta e la camicia stropicciata metà fuori e metà dentro dai calzoni. Lo sguardo perso nel vuoto, si avvicinò al Cerimoniere, nella speranza di sbrigar la pratica in fretta e passare inosservato. Ma ben sentiva su di sé lo sguardo severo della Regina che ne scrutava ogni movimento. Puntuale come il lunedì la sua voce risuonò nella stanza: “Lei ha portato la Manleva?”. Lo sguardo del ragazzo si perse definitivamente nel vuoto, girando di qua e di la, cercando supplicante gli occhi del segretario che incrociando i suoi lo guardò severo, attento, e gli scattò una foto. Allora prese dalle tasche degli sgualciti pantaloni delle carte, porgendole alla sovrana. Lei le guardò attenta e poi scrutandone ogni piega del viso le chiese: “Ma lei è sicuro di essere se stesso? Mi mostri un documento!”. Ahhh, un documento. Povero ragazzo, cercò in ogni tasca, nel calzino (ne aveva solo uno, l’altro aveva scordato di indossarlo), poi, tra il piede ignudo e la suola della scarpa intravide il codice fiscale e lo porse alla Regina. “Va bene, va bene…” disse lei inorridita del puzzolente documento. “Ci faccia sentire qualcosa” disse con cordialità, aprendo verso il pubblico la mano con gesto plateale. “Con la tromba?” rispose lui. A questo punto guardai stupefatto la mia dolce compagna; compresi in quell’istante che eravamo stati catapultati in un sogno e la storia di Alice nel paese delle Meraviglie a confronto mancava di fantasia. Lei continuò a mostrarmi un sorriso ma vedevo chiaramente che dentro, in cuor suo, era combattuta tra il fuggir lontano o lo stare a vedere come finisse questa storia paradossale. Io personalmente cominciai a temer per la mia testa. Non tanto per il fatto che la Regina indispettita ordinasse di tagliarla a tutti presenti, ma al mio equilibrio psicofisico. “Passiamo ora a premiare un poeta; con la sua poesia ha portato nel mondo il nostro territorio rendendone i contorni luminosi e affascinanti”. Si avvicinò al microfono un uomo, basso e oscuro, così basso che anche riducendo al minimo la piantana non arrivava a parlare correttamente. Forse la ragione della simpatia da parte della Regina era legato a questo, entrambi erano talmente piccoli da passare in piedi sotto al tavolo! Risolse il problema il cerimoniere, proponendogli il suo che era senza piantana. Lui era così alto che nessuna piantana sarebbe stata opportuna. Il poeta iniziò a recitare una sua opera, assorto e accorato. Sguardi di stupore tra i presenti, il napoletano stretto con cui recitava non permetteva la comprensione del contenuto a nessuno dei presenti, probabilmente neanche a un napoletano verace. Non era però questo il vero problema, la regione in cui noi ci trovavamo non era la Campania, bensì una del nord, che non cito sempre per non far pubblicità gratuita. Mi venne difficile pensare come potesse promuovere questa nel mondo. Ma gli applausi non tardarono ad arrivare e cominciai a pensare che quello strano fossi io. La signora dal grande cappello intanto cambiò posizione, passando dall’appoggio del suo flessuoso corpo dalla gamba sinistra a quella destra, mentre la Presidentessa impassibile, restava immobile con il suo bel sorriso da Caterine Deneuve. La Regina gongolava e il Segretario… beh, quello scattò due, tre, dieci foto a raffica, abbagliando con il flash, ormai diventato ipnotico, tutti i presenti. Solo il Cerimoniere sembrava parte del mondo reale e per smentire questa mia osservazione, prese il cellulare, lesse un messaggio e si diresse verso il termosifone nell’angolo della stanza. Poi, rivolto verso di lui, iniziò a comporre un messaggio voltandosi di tanto in tanto a tutela della sua privacy. “E questo signore, Cerimoniere, ha con sé la Manleva?” lo richiamò all’ordine la Regina. Il Segretario per un attimo sospirò, qualcun altro aveva, anche solo per un attimo, preso la sua colpa. Ma durò poco: “Segretario, si occupi lei della Manleva, altrimenti qui non si va avanti…”. Lui scattò frettolosamente una foto e riprese in mano i documenti. Si era giunti faticosamente al momento clou del pomeriggio, quello che tutti stavamo aspettando finalmente si stava realizzando. “E’ con infinito piacere, commozione e profondo ringraziamento che voglio dare il premio a una artista di indiscutibile valore. Venuta dal lontano oriente, ma presente qui nella città d S. per lunghi anni, signori ho il piacere di presentare la cantante thailandese Tumthuang Trangjan, artista di fama internazionale che ha portato le arie delle nostre migliori opere in tutto il mondo”. Queste splendide parole, recitate con la dovuta enfasi, risuonarono per la stanza, portandosi anche fuori per le scale e nell’androne del Castello. Il Cerimoniere, con ogni possibile enfasi e inchinandosi all’inverosimile, invitò la cantante verso il microfono mentre il pubblico fremeva nell’attesa della sua esibizione. La regina non mostrava emozioni, cercava in cuor suo altrettanti lodevoli parole al fine di celebrare quel momento, ma un impertinente pensiero, come un tarlo, la distraeva e a tutti questo era evidente dalle smorfie del suo viso: “Avrà lei la manleva?”. Bianconiglio, segretario in apprensione, era ora invece sereno. Aveva con i suoi occhi visto i documenti e con Tumthuang Trangjan non ci sarebbero stati problemi. Fu così che poté abbandonarsi ad alcuni scatti azzardati. Dal basso verso l’alto, di lato, in semi rovesciata, passando indifferente e voltandosi di scatto, al fine di fare una vera istantanea, che sarà risultata sicuramente mossa. Consegna del diploma, sorrisi di circostanza (si sa, gli orientali sono esperti), e poi il passaggio d’obbligo del microfono, per una esibizione a beneficio del pubblico. Ma lei, irremovibile, anche se con cortesia innata, rifiutò l’invito, giustificandosi con il fatto che solo in presenza di un pianoforte, per altro perfettamente accordato, si sarebbe prestata per un canto. Un mormorio di delusione si alzò dal pubblico, sguardi di stupore e delusione. Ma lei nulla, rischiando senza paura la decapitazione comandata dalla Regina, si rimise a sedere, scostando a lato il mazzo di fiori, credo vero, che qualcuno le aveva donato. Nella sala calò il silenzio, ci si guardò uno con l’altro attoniti, l’evento, il grande evento, correva il rischio di non avere il giusto epilogo. Ma quasi magicamente, con un volteggio degno della scala di Milano, il marito della signora prese in mano il microfono e con fare seducente rassicurò la platea: “Proverò, mettendo a rischio anche la mia unione, a convincere la mia consorte ad esibirsi!” Poi, volgendo a lei il più seducente dei sorrisi, promessa di momenti di intimità sconvolgenti, le sussurrò qualcosa in una lingua a noi sconosciuta. La tensione in sala crebbe. Eravamo di fronte a un esperimento mai tentato, un colpo da maestro che solo la grande capacità seduttiva latina era in grado di realizzare. Il fascino occidentale contro l’ermetica ragione d’oriente. Momenti di tensione, attimi infiniti. Le labbra dei due amati si rincorsero, con frasi dall’oscuro significato. Poi, come per magia, dalla borsa di cuoio del marito, le sue abili mani sfilarono uno spartito, illuminato da un brillante raggio di sole filtrato dalle finestre e regalato da un sole che si avvicendava al tramonto, prontamente catturato dagli specchi e riflesso in ogni dove. L’artista non seppe resistere a quella intima seduzione e come per incanto lasciò la sua sedia, sorridente e conquistata ancora una volta dal suo amato. Lui, muovendosi con cautela, si sedette alla pianola e guidandola con lo sguardo e un cenno soddisfatto del capo, intonò le prime note della Tosca. Lei, ormai abbandonata al suo volere, inspirò l’aria come un mantice nei polmoni per liberare, liberandoci tutti dalla tensione, le prime note del suo canto melodioso. Come su un vascello che solca le onde, i nostri spiriti iniziarono a danzare e anche la Regina, in parte indispettita sino a quel momento e rassicurata dalla Manleva tra le sue mani, socchiuse gli occhi e iniziò a sognare per quel canto d’amore. Tutto il resto, ciò che seguì quel momento, divenne routine. Anche la successiva premiazione, un giovane pianista innamorato che dopo aver recitato il suo cantico d’amore per una storia prematura e ormai finita, si dedicò alla tastiera con dovizia, o il francese dall’aspetto provenzale che con la scusa della poesia, in lingua francese, si prese lo spazio di un quarto d’ora per le sue considerazioni sulla famiglia, la società e cos’altro, bene, nulla di tutto ciò scacciò l’incantata atmosfera che il canto orientale aveva creato. Solo il menestrello, dalla chitarra rosa, ebbe il coraggio di dissacrare l’atmosfera, percorrendo l’Italia intera con i suoi pezzi goliardici ma, fate bene attenzione, non citando e intonando nessun canto rivolto alla regione che ci ospitava e ci premiava. Ma a lui siam tutti grati; fu l’occasione per tornare alla realtà, al mondo di tutti i giorni. Fu l’unico che si avvicinò alla Regina donandogli fiori, inginocchiandosi come si conviene al cospetto di tanta regalità. Anche lei, la terribile Regina di Carte, incubo di un pomeriggio, rimase ammaliata dalla sua allegria e per una volta, finalmente, si dimenticò della tanto desiderata Manleva! Ah, si, ritirai anche io il mio diploma, nei ritagli del tempo di chiusura, dei convenevoli e tra i sospiri di quelli che oramai non ne potevano più. Presi per mano la mia amata, ringraziandola della compagnia in questo viaggio dell’assurdo, dal quale a fatica credevo di rientrare. Ormai, al termine del pomeriggio, così come accade dopo una sonora sbronza o l’uso di un qualche stupefacente, ero sfinito e intontito. Tornammo verso l’auto, sperando quasi di trovare una multa per divieto di sosta, certificato del ritorno alla normalità. Ma in realtà lei era la, all’ombra di quelle fronde cariche di frutti e allora pensai che non era stato tutto un sogno, ma un’incredibile pomeriggio di reale follia.

 

Ogni riferimento a fatti o persone realmente accaduti e puramente casuale

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