Ragnau – 1° parte

gatto-scogliera“Prendila, è sotto il frigorifero…”. Chinata, anzi allungata sul pavimento, la mamma, brandendo la ramazza cercava di spingerla fuori affinché Beatrice potesse afferrarla in qualche modo per farla uscire da la sotto. Lei, Ragnau (questo era il nome che le avevano dato i suoi fratelli), si era rintanata nell’angolo e soffiava come un mantice, mostrando gli incisivi aguzzi come spilli. Il pelo irto da farla sembrare cotonata, non ancora folto da nascondere la pelle rosea e gli artigli sguainati per una estrema difesa. Nel poco tempo che era rimasta con sua madre e gli altri quattro cuccioli non aveva ancora appreso tutti i trucchi di una corretta autodifesa e pertanto si affidava all’istinto e a quell’unico episodio in cui Pedro, il cane della fattoria in cui era nata, si era avvicinato al fienile, dove dimorava la cucciolata e lei, proprio lei, gli aveva rifilato una zampata sul tartufone che aveva al posto del naso facendolo scappare e guaire. Ma ora la situazione era ben diversa; era sola e quegli umani che cercavano di stanarla erano proprio grossi. Vedeva da la sotto i loro occhi puntati su di lei e la voce stridula della mamma che incitava la figlia la infastidiva, oltre che spaventarla. Infatti aveva scaricato in modo indecente l’intestino, lasciando traccia di sé sul pavimento e sul muro. Dalla finestra che dava sul balcone entrava aria fresca e lei, Ragnau, ne percepì il soffio leggero come un segnale della unica via possibile di fuga. Sulla destra la strada le era sbarrata dalla ramazza che cercava di insidiarla. Sulla sinistra la bambina allungava il braccio più che poteva, sfiorandola a volte. L’istinto le diceva che se si fosse lanciata nel mezzo tra le due, la scopa le avrebbe sbarrato la strada e le mani della ragazzina l’avrebbero potuta bloccare. Aveva paura, tanta paura. Erano andate a prenderla nel pomeriggio; lei stava dormicchiando sul fieno e sentendosi afferrata per il colletto si era abbandonata a quella presa ricordando il morso dolce e affettuoso di sua madre quando pazientemente li trasferiva uno alla volta al sicuro nel loro rifugio. Ma quando la presa si era allentata si rese conto che le quattro pareti di cartone che la tenevano prigioniera non erano la sua cuccia ma una scivolosa trappola da cui non sarebbe potuta fuggire. Iniziò così a soffiare, emettendo urla minacciose e il risultato fu che Beatrice, la sua presunta nuova padroncina, chiuse il coperchio facendola piombare nel buio e nel terrore. Il viaggio in macchina per raggiungere la città fu disastroso; nelle curve scivolava sul fondo liscio andando a sbattere ora a destra ora a sinistra. A nulla servivano i suoi lamenti e tanto meno la voce della bimba che per lei non aveva nulla di rassicurante. Una volta in casa il silenzio delle due donne divenne per lei ancor più inquietante. Poi, a sorpresa, il cartone venne aperto e rovesciato e Ragnau piombò a terra sul pavimento rovinosamente, battendo la schiena sul duro pavimento di piastrelle. Rimase immobile per un attimo soltanto, poi spingendo quanto poteva sulle zampe posteriori, si lanciò a capofitto verso quello che riteneva l’unico rifugio possibile; la parte bassa dei mobili della cucina. Li prese fiato, indietreggiando verso l’angolo. Il resto lo sappiamo, era in scacco. Piccola micetta di appena due mesi era stata catapultata dal comodo e rassicurante rifugio in morbido fieno, coccolata dalla sua affettuosa madre, in quell’angolo insicuro e ostile. Di una sola cosa era sicura, anzi due. Il suo ruggire spaventava le donne e quello spiffero d’aria che arrivava dalla finestra era l’unica via da seguire per fuggire. Decise cosa fare: la piccola Beatrice era l’anello debole della catena che la teneva legata a quel posto. Caricò le zampe posteriori puntandole contro il muro e si lanciò contro la bambina, brandendo le zampe anteriori come un pugile scatenato. La piccola si lasciò cadere all’indietro, gridando per lo spavento e liberando il passo a Ragnau che, rimbalzando sul muro di fronte, si lanciò disperata verso la porta finestra. Le zampe slittavano sul pavimento mandando a vuoto la sua accelerazione e quel ritardo nella fuga permise alla mamma di ruotare la scopa, creando uno sbarramento insormontabile. Ma scartando rapidamente di lato, riprese la posizione sotto i mobili e il nuovo movimento della scopa rovinò contro i piedi del mobile. A quel punto Ragnau si giocò l’ultima carta, lanciandosi come un fulmine verso la porta e, una volta sul balcone, senza pensarci neanche un istante, si lanciò tra le sbarre della ringhiera, trovandosi nel vuoto. Non aveva potuto fare nessun calcolo, non conosceva nulla di quel luogo. Si ricordava che una volta era saltata dall’alto delle balle di fieno, precipitando sul fondo, morbido, di paglia. Aveva allargato le zampe, tendendo ogni muscolo ed era atterrata sul soffice pavimento rimbalzando come una palla. Il fiato le si era fermato in gola, l’ebbrezza di quel volo l’aveva emozionata con un senso di libertà assoluta. Si era ripromessa di provare ancora, magari invitando al gioco uno dei suoi fratelli. La madre l’aveva sgridata, era ancora troppo piccola per lanciarsi dall’altro e le sue zampine fragili ne avrebbero potuto risentire. L’aveva afferrata per il colletto con i denti, riportandola nel nido.

Ma l’aria che ora le scompigliava i baffi aumentava sempre più di intensità e quel volo di cui non conosceva la fine, sembrava infinito. Tese all’inverosimile i muscoli delle zampe e di tutto il corpo. Qualcosa le diceva che forse, forse non se la sarebbe cavata. Le vennero in mente i passerotti che planavano alla fattoria, o le rondini che garrendo, solcavano il cielo azzurro. Desiderava poter far come loro, trasformando la caduta vertiginosa in rincorsa per una ripresa di quota. Ma le sue esili zampette non erano fatte per quello e lei pensò per un attimo, uno soltanto, che forse sarebbe stato meglio non temere quella scopa. Quando ormai pensava che quel volo non avesse più termine, le sue zampe toccarono il termine della corsa nel vuoto. I cuscinetti morbidi, compressi dal peso del corpo, cercarono di assorbire tutta l’energia della caduta. Ragnau, contratta all’inverosimile, strinse i denti aspettando l’urto con il pavimento duro come il marmo. Ma la superfice cedette lentamente, mostrandosi flessibile. Una catasta di cartoni, ammonticchiati disordinatamente nei pressi dei bidoni della spazzatura, erano diventati il suo campo di atterraggio, attuendo la caduta. Non era certo la superficie morbida del fienile, ma di sicuro molto, molto più morbida del pavimento di cemento che distava pochi centimetri da questo. Si lasciò andare accettando quello sprofondare come una liberazione, sentendo il cartone che accoglieva la sua caduta. Sapeva che una volta finita la corsa avrebbe ricevuto una spinta verso l’alto e quindi si tenne pronta a sfruttare quella spinta per schizzare via e trovare un rifugio. Al resto avrebbe pensato dopo. Per ora una sola cosa era certa, la grande fuga era iniziata. Era piccola, inesperta e impaurita. Ma era una gattina di carattere e la sua prima battaglia per la libertà l’aveva vinta lei. Indubbiamente.