La gatta che voleva volare

Disteso con la schiena rivolta verso il centro della stanza, le orecchie tese e la coda nervosamente agitata come la frusta di un ammaestratore di puledri, Zelig stava, visibilmente stizzito, sul pensile più alto, suo regno inviolato al quale raramente aveva coperla e zeligncesso in tempi migliori un breve soggiorno come ospite malamente gradita a Perla. Leggeri fremiti del suo pelo lucido tradivano il suo stato d’animo; era seccato. Ecco, il termine esatto è questo, seccato!. Principe assoluto della casa di Marina aveva con diffidenza e fatica accettato l’arrivo di Perla, gattina di strada dai mille odori sconosciuti, offesa all’occhio destro da non so quale incidente che aveva reso la pupilla simile ad una perla pregiata e che al  Principe dei Tetti sembrava un simbolo di regalità. Lei sapeva bene come gestire i complessi rapporti che legano la territorialità nel mondo dei gatti e aveva risposto agli attacchi di Zelig con segni di sottomissione, accompagnati da zampate feline con l’intento di fargli capire che, nonostante riconoscesse la sua superiorità, sapeva difendere bene i suoi diritti. Socievole e affettuosa aveva conquistato subito il cuore di Marina e anche il mio. Il suo inconfondibile miagolio la faceva trovare quando si nascondeva sotto il divano e quando, desiderosa di coccole si lasciava prendere in braccio abbandonandosi, si “ciucciava” la zampa ricordando il tempo lontano in cui, cucciola, trovava il capezzolo della madre assieme ai suoi fratelli, in chissà quale angolo del torrente dove la genitrice si era rifugiata a partorire. Nel cortile si aggirava un gattone, nero come la notte, che ormai tutti chiamavano Cenere. Orecchie sfilacciate dai combattimenti, adorava farsi coccolare quando si aggirava aspettando che la ciotola del cibo venisse riempita dal buon cuore di una vicina. Faceva sorridere vedere quel burbero gattone dal fisico possente lasciarsi andare a far fusa come fosse un gattino di casa e Marina ne era convinta: “Quello è il padre di Perla”. Di sicuro c’era che il carattere combattivo di Cenere, accostato al suo animo socievole si rispecchiava in quello di Perla, e proprio con queste caratteristiche lei aveva, lentamente, giorno dopo giorno, conquistato il cuore di Zelig. Era uno spasso vederli rincorrersi sul terrazzo giocando a guardia e ladri per poi azzuffarsi in una lotta senza quartiere, ma senza sfoderare gli artigli. Per poi passare dopo pochi minuti a coccolarsi, leccandosi a vicenda o dormire uno vicino all’altro, componendo una “greca” degna di diventare un marchio, un simbolo per qualche casa di mangimi per gatti. Venne il giorno che Marina cambiò casa e per i due gatti il viaggio in auto nel trasportino assunse significato diverso per l’uno e per l’altro. Perla incuriosita del nuovo mondo che intravvedeva dalle sbarre di plastica era stimolata dalla curiosità dell’ignoto. Zelig invece, chiuso nel suo carattere diffidente, annusava l’aria che trasportava con sé odori sconosciuti e soffiava come una tigre in gabbia. Una volta nella casa nuova, dischiusa la porticina del trasportino, Perla uscì immediatamente, aggirandosi per la stanza. Individuò subito le ciotole con le crocchette e l’acqua, verso le quali si diresse per bere. Poi, vista la porta che dava sul balcone aperta, si avventurò fuori esplorando questo nuovo territorio. Zelig no. Restò rintanato in quel rifugio che comunque odiava, ma al momento gli sembrava più sicuro del mondo fuori. Soffiava e annusava. A lui le novità non piacevano, non syriaerano mai piaciute. Aveva gusti ben definiti e sapeva ciò che voleva e quello che non gli andava. Anche quando era tempo di coccole, decideva lui come e quando. Come tutti i caratteri passionali e decisi, sapeva essere irresistibile, ma altrettanto terribile e staccato. Io avevo conquistato la sua stima con il tempo, rispettadolo e aspettando il momento in cui lui mi fece intendere che era venuto il tempo mio. Fui ricompensato di questa reciproca stima  quando era ora, per me, di andar via e tornare la settimana dopo. Mi cercava e miagolava. Esser gatti è un privilegio e ancor più essere accettati da questi. Ma ricevere la stima del Principe dei Tetti fu per me una soddisfazione senza prezzo.

Quando furtivo uscì dal trasportino, cominciò a esplorare la stanza con passo felpato e le sue lunghe zampe lo facevano ondeggiare solennemente. Annusò ogni angolo ma fu subito evidente che il posto era di suo gradimento. Addocchiò la ciotola del cibo senza avvicinarvisi, sempre lentamente uscì sul terrazzo. Trovò la lettiera dei bisogni, salì sulla panca vicino alla grande finestra e poi, soddisfatto rientrò in casa per sorseggiare un po d’acqua. Marina aveva fatto installare nel muro un basculante affinché potessero uscire anche quando la porta finestra fosse chiusa e, inaspettatamente fu proprio lui il primo a comprenderne il funzionamento, dopo solo un giorno, mentre per Perla sembrava ancora un’impresa impossibile. I giorni trascorsero rapidi e le vecchie abitudini come rincorrersi, azzuffarsi e abbandonarsi alle coccole ritornarono nella consuetudine di sempre. Ormai conoscevano ogni angolo di quella grande stanza, l’enorme pianta grassa tra le cui foglie ci si poteva nascondere, il mobile basso che faceva da trampolino per saltare, dopo essersi dati la spinta con le zampe posteriori sulla vecchia radio, sui pensili in alto da cui era possibile dominare tutto il territorio. E poi quel grande terrazzo da cui scrutare il fiume, molto più in basso e la strada piena di vita. Cominciarono a “cadere” i primi insetti catturati e qualche povero geco ignaro del gran guaio che era diventato abitare i muri di quella casa. Ma c’era un luogo, di quel territorio, che rimaneva inesplorato. In realtà Perla lo aveva notato e più di una volta aveva cercato una via per raggiungerlo, senza risultati. Nonostante l’occhio offeso sapeva valutare bene le distanze e non si rassegnava all’idea che il tetto, il grande tetto, restasse un territorio misterioso e inesplorato. Fu Marina a mostrare prima a uno e poi all’altra il percorso migliore: prima sulla panca, poi sul bordo del tavolo esterno e spiccando un salto, gioco da ragazzi per un gatto, si poteva raggiungere un trave sporgente per risalire alle tegole, dopo una piccola evoluzione. Zelig salì, ma senza mostrar convinzione. Fece un breve giro di esplorazione e forse il suo innato istinto, forse la diffidenza, gli consigliarono di escludere, per sempre, quel luogo dal suo regno. Discese disgustato, non era un posto che ne valesse la pena. Perla no, imparò subito come salire e non paga di questo, raggiunse il lato opposto dal quale poteva rimirare, molto più in basso, i gatti di Jole sdraiati al sole caldo della primavera entrante. Era felice di vivere in quel castello, tra tutti i comfort che gli offriva. Giochi, cibo a volontà, coccole quando lo desiderava. Ma nel profondo del suo cuore il fascino dell’ignoto non si era assopito. Certe notti, appisolata sul divano, sognava le canne del torrente, alte verso il cielo, che ondeggiavano danzando con il vento di scirocco. Nei suoi sogni ombre di piccoli topolini in cerca di cibo comparivano, per nascondersi tra i sassi. Le sue zampine si muovevano nel sonno e la caccia, il più profondo degli istinti del gatto, la facevano sussultare con il cuore in gola. Andava a bere un po d’acqua e poi tornava ad accucciarsi ma i sogni, il senso della libertà, tornavano a farsi vivi. Allora usciva dalla porticina e, al chiarore della luna piena, si avventurava sul tetto, padrona del “mondo di fuori”, ad annusare l’aria che portava il profumo del mare, il rumore del vento e i brividi della notte. Poi, sfidando se stessa, si avventurava sul telaio della tenda esterna, da cui poteva sentirsi libera nel vuoto, come un gabbiano in procinto di volare. Aveva sempre sognato di poter andar lontano, di spiccare il volo come un uccello libero e sfiorare quelle stelle che brillavano nel cielo ogni notte. Ma dove si nascondevano, quando sorgeva il sole e come mai si allontanavano quando la luna era piena e rubava la scena dello splendido palcoscenico del cielo di notte? Chissà, forse distratta dai suoi sogni, forse tentando un salto perfetto, mai pensato possibile o semplicemente tradita dalla rugiada della sera, che rese viscido il tubo su cui stava, perse l’equilibrio cercando disperatamente un appiglio per riprendere l’equilibrio.

Marina era disperata, Perla non era rientrata e nonostante la chiamasse con il richiamo a lei ben noto, non c’era traccia della micetta. Resistette alla tentazione di salire sul tetto a cercarla, controllò ogni angolo della casa, anche al piano sottostante e in garage. Nulla! Perla era sparita nel nulla. Scese in strada, facendo il perimetro della casa con il cuore in gola. Il terrore di trovarla a terra, senza vita sull’asfalto le toglieva il fiato. Non c’era, forse questo era un buon segno. La caduta non era stata fatale ma una nuova angoscia si presentava: era ferita? Dove si era rifugiata? Soltanto chi ha un rapporto vero con gli animali può capire l’angoscia che si prova. Certo, è solo un gatto, un semplice gatto che di fronte agli orrori che popolano i nostri tempi non conta proprio nulla. Ma il legame che rappresenta l’amore per il proprio animale è qualcosa di profondo con il nostro interiore, con l’anima che ci abita. Questo nulla toglie al dolore che si ha nei confronti del mondo. Ricordate il film “La bussola d’Argento”? Il Diamon, la nostra essenza che si materializza in un essere vivente che ci vive a fianco. Il proprio animale è un sentimento puro, scevro da conflitti, da interessi e rivalità. E’ qualcosa di puro, non tanto nel senso del sublime, quanto nella limpidezza delle emozioni. Chi non rispetta il mondo animale in realtà non rispetta il bambino che c’è in noi, il lato puro e ancestrale dell’anima, il senso della vita come miracolo. Poi certo, non ci sono paragoni con il significato dell’uomo, del valore dell’esistenza dei nostri simili. Io non penso assolutamente che la vita di un animale valga quella di un essere umano. Io penso che la vita sia la cosa più importante di questo mondo e che vada rispettata sempre. Il rispetto che noi diamo alla vita degli altri esseri è il senso della nostra esistenza, il segno che noi siamo esseri superiori. Non superiori ad altri, ma al di sopra del vuoto dell’anima, all’oblio della notte senza vita. Solo vivendo in un certo modo potremo accogliere la fine della vita stessa.

Venne il giorno dopo e quello dopo ancora. Di Perla non c’era traccia. Il tam tam su facebook portò la notizia a tutti, amici, conoscenti. Ma nulla, nulla di nulla. Marina cominciò a cercarla nelle fasce, guardammo assieme nella folta vegetazione del torrente li vicino. Per una settimana non riuscimmo a parlare d’altro.

Zelig, dopo il primo giorno, si rese conto che Perla era andata via. Iniziò a miagolare, poi a disperarsi. Passava il giorno e la notte piangendo il suo dolore perché se c’era voluto tempo per accettare la convivenza con quella gatta, altrettanto forte era diventato il legame con lei. Il senso di abbandono che lo pervase gli creava angoscia, smarrimento. Era incredibile, ma il suo pelo si riempì di forfora. Non riusciva a darsi pace. In un attimo gli equilibri del suo regno erano svaniti e si sentiva solo, in prigione del suo castello. No, non sarebbe uscito per  andarla a cercare, ma la voleva assolutamente qui, tra quelle mura. Era parte del suo mondo; chissà quante storie gli aveva raccontato mentre lui, con il muso rivolto verso l’alto, l’ascoltava ammirandone il coraggio, l’incoscienza. Quante volte l’aveva ripresa quando saliva su quei tubi, sapendo del pericolo che correva. “Te l’avevo detto!” l’avrebbe rimproverata al suo ritorno. Ma Perla non tornava, lasciando tutti nell’ansia e nello sconforto. Dopo quasi una settimana le speranze di tutti si erano affievolite, tranne che quelle di Marina che non voleva rassegnarsi al pensiero di non rivederla. Ogni tanto nella notte si svegliava ansimante, le sembrava di sentire un lamento e usciva sul balcone a scrutare il buio. Ma nulla, nulla che potesse lasciarle una speranza.

Una mattina suonò al campanello una vicina. Aveva con sé una gattina, di appena tre mesi. “Cercavo nelle fasce la tua gattina, da un cespuglio è spuntata questa creatura. Non posso tenerla, a casa mia non c’è la possibilità. Sai a chi posso darla?”. Come certi segni che il destino ti presenta inaspettatamente, quella piccola creatura passò dalle mani della signora a Marina, iniziando immediatamente a fare le fusa. Fu come un lumicino acceso nella notte più buia. Marina la portò su in casa, accarezzandola con le lacrime agli occhi. La sentii al telefono, felice di quell’arrivo inaspettato. Ma, al contrario di come superficialmente avevo interpretato quella notizia, la piccola gattina non era per lei una nuova vita per sostituire Perla, ma la conferma che la sua speranza di ritrovarla fosse più forte che mai.

Syria (questo il nome che decidemmo assieme) era vispa e tenace. Alla vista dei croccantini si assicurò subito un gradito pasto e in men che non si dica capì lo scopo della lettiera. Poi cominciò a studiare la stanza, mettendosi a giocare con un cordino a terra.

Zelig, impietrito per quell’arrivo, rimase immobile a fissarla. Era troppo per il suo carattere. Iniziò a soffiarle emettendo versi da far invidia ad una fiera della giungla. Tentò anche qualche primo attacco, ricambiato dal piccolo ma intenso ruggito della piccola. Incredulo e sdegnato uscì sul terrazzo, nella speranza che quello fosse un brutto sogno dal quale sperava di risvegliarsi il prima possibile. Ma al suo rientro la “spipuretta” era ancora li e per di più si prendeva le coccole da Marina. “No, no…” disse tra sé. “Cosa devo ancora sopportare in questa casa!”. Con due balzi raggiunse il suo giaciglio di principe, sopra i pensili. Li quella piccola mocciosa non sarebbe mai potuta arrivare. La osservava ancora incredulo. Si stava appena ora riprendendo dall’assenza di Perla che ecco comparire questa insulsa e impertinente giovincella che si arrogava il diritto di usare la sua toiletta privata, le sue ciotole preferite e l’acqua, la “sua acqua!”. Si lasciò cadere in un lungo sonno, cercando di non sentire il flebile rumore di fusa che Syria senza ritegno faceva felice. La mattina seguente la gattina era ancora li. “Quindi non è un incubo… devo fare qualcosa. Non la sopporto proprio”. Scese a terra e puntandola si mise nuovamente a soffiare per poi allontanarsi accucciandosi sul tappeto, muovendo nervosamente la coda. In tutta risposta Syria vedendo quel ciuffo agitarsi cerco di avventarsi, beccandosi una sonora sberla dal Principe, seccato da tanta insolenza.

Poi, come in tutte le storie che a noi piacciono tanto, a Marina giunse una telefonata. Era Jole, la vicina. “Marina, Marina, dove sei? Hanno trovato Perla. Ce l’ha Marilina!”. Marina corse immediatamente fuori di casa, non sapeva chi fosse Marilina e cominciò a chiedere. In fondo alla via, sorridente e soddisfatta di portare tanta gioia, una signora le venne incontro tenendo tra le braccia, ferita e dolorante, Perla, l’impavida gattina che aveva sperato di volare. Le lacrime di gioia si mescolarono a quelle dello sconforto. Perla era viva, ma ferita. Muoveva male una zampa posteriore e la coda, la sua bella e sinuosa coda era a penzoloni, inerme. Marina la portò in casa, adagiandola con cura sul letto. I suoi occhi erano pieni di lacrime di commozione che quasi non riusciva a vedere la gattina. Ne ispeziono il ventre, le zampe, il muso che era segnato da un duro colpo. Sicuramente Perla si era giocata più di una delle sue sette vite, ma era viva e ricambiò le coccole con le sue inconfondibili effusioni. Lanciò una occhiata verso Zelig, il quale emise un ruggito di rimprovero. Perla in qualche modo sorrise: “Hai il tuo solito caratteraccio, ma mi sei mancato da morire…” sembrava dirgli. Lui le mostrò i denti, in segno di rifiuto ma lei si chinò su un fianco, in segno di sottomissione. “Ho superato la dura scorza del tuo cuore già una volta, ci riuscirò ancora”. Poi scese dal letto per andare a bere. Chissà quanti stenti aveva sopportato in quei giorni infausti. La dura vita che le aveva riservato il destino aveva aggiunto all’occhio leso in chissà quale incidente, un dente rotto e quel trauma alla coda di cui non si poteva ancora sapere nulla. Ma i gatti si sa, hanno il destino dalla loro parte, quasi sempre. Nel giro di due giorni la coda cominciò a muoversi e anche se un po’ zoppicante, in un attimo di distrazione di Marina, Perla guadagnò la porta saltando sul tetto. Non era cambiata, non c’era dubbio. Ora è troppo presto per sapere quali danni resteranno per sempre dopo quella caduta, ma lo spirito ribelle quello no, non era stato scalfitto.

E Syria? Beh, Syria è il mondo nuovo, il pensiero che cresce e si evolve. No, non è simpatica neanche a Perla. Come spesso accade agli adulti, Syria è un’adolescente che ascolta musica che i grandi non comprendono, è irrispettosa e pensa di sapere tutto lei. Fa la strafottente, non rispetta le gerarchie. Però, come succede a tutti gli adolescenti, crescerà imparando le regole imposte dal Principe dei Tetti e dalla Gatta dall’Occhio di perla, che per una notte ha cercato di volare.