Rosso, lo splendido gatto rosso del Beodo è sparito.
Me lo ha detto ieri sera Pietro, durante una cena tra amici. Me lo ha detto come si racconta un qualcosa di profondamente triste ma inevitabile.
Lo aveva ancora visto una mattina, questa estate, tornare da una zuffa d’amore nella notte. Un orecchio “sfilacciato” e sanguinante, un graffio profondo sul muso che non lasciava dubbi sulla cruenza del combattimento.
Era un gatto forte e senza paura; più di una volta aveva sfidato il cane del vicino, li in campagna, tra le “fasce” impervie ed aveva sempre lasciato il segno sul pelo raso di Pippo, ignaro che quei combattimenti servivano a Rosso soltanto per allenamento.
Non aveva paura di nessuno ed i suoi artigli, affilati come lame di rasoio, erano il terrore dei maschi del Rio Sasso, durante i periodi d’amore.
Spesso, sotto l’ombra dell’Auriva de’ San Giuseppe, i gatti si riunivano in cerca di fresco, sdraiandosi in ordine sparso. Quando lui attraversava quella pianeggiante porzione di fascia, uno dopo l’altro si alzavano per cedergli il passaggio ed alla fine, quando lui si era andato a sdraiare sotto le larghe foglie del fico, restava una riga retta, un sentiero, che ricordava a tutti il suo passaggio.
Adorava mettersi sotto il fico, quel profumo dolciastro gli riempiva le narici e godeva a veder le tortore ed i passeri aprire i fichi maturi e cibarsene.
Non ne aveva mai catturato uno in quel luogo, per lui era un posto sacro. Aveva conosciuto lì Principessa, quell’incanto di gattina che gli aveva fatto perdere la testa e con cui aveva costruito una stirpe di simpatici mascalzoni dalla lunga coda.
Tra quei rami l’aveva corteggiata e alla base del tronco si trovavano per rifarsi le unghie, facendo reciprocamente le fusa.
Pietro, raccontando la gran quantità di cibo che doveva portare ogni giorno per quella famiglia sempre in crescita, si asciugò una lacrima che, indifferente al suo autocontrollo, gli era sfuggita.
Fu una notte senza luna, con un leggero maestrale che sembrava rinfrescasse l’estate, portando un temporale, quando Rosso decise di regolare definitivamente i conti con quei due soriani della strada che sale a Montenero. Sapeva bene che erano ossi duri e conoscevano bene il loro territorio.
Forse c’era anche un cane con cui avevano stretto amicizia e chissà cos’altro, ma Rosso non aveva paura e sapeva due cose importantissime: i gatti hanno sette vite e che il destino è sempre sulla tua strada, qualunque essa sia.
Discese la collina per risalirla facendo un largo giro, voleva almeno il vantaggio di arrivare dall’alto. Si appostò sopravvento, il maestrale gli portò subito l’odore di quei due felini, mescolato al profumo che la loro padrona, contro ogni loro volontà, inevitabilmente gli trasferiva sbaciucchiandoli.
Era il prezzo che dovevano pagare per dormire in casa. Non riusciva a capire dove fosse il cane, non c’era luce e del suo odore non v’era traccia. L’istinto gli disse di essere prudente. Poi con la coda dell’occhio vide Principessa più in basso, in cerca di qualche topino distratto e non gli sfuggì l’occhiata che i due soriani si dettero, veloce e sincrona.
Si alzarono sulle zampe senza alcun rumore, i cuscinetti morbidi del soriano sono straordinari per questo. Rosso capì la situazione, non poteva aspettare neanche un attimo e con un balzo degno della stirpe da cui discendeva, le tigri dai lunghi denti, si lanciò sui due soriani sferrando zampate ad artigli sguainati.
Dal naso di uno dei due sgorgò immediatamente il sangue, aveva affondato con precisione il primo colpo, con una seconda zampata scorticò un pezzo di coda all’altro. Si batté con ogni forza, mentre Principessa intuendo il pericolo fuggì a gambe levate.
Senza che Rosso potesse accorgersene alle sue spalle arrivò quel fetido lupo, pastore tedesco di razza pura, figlio di cane immondo e discendente diretto del Terzo Reich.
Addestrato nelle migliori scuole tedesche era stato allenato massacrando gatti e con le zanne prese Rosso per le spalle. Lui torcendosi, stretto da quella morsa incredibile, gli assestò un colpo terribile in un occhio ferendolo e facendolo guaire.
Ma, ignaro del dolore, non mollò la presa, anzi strinse ancor più i denti, facendo schioccare le ossa dell’eroe del Beodo. Povero Rosso, negli ultimi pensieri ripassò tutte le vite che aveva rischiato nella sua lunga esistenza, erano sei.
Se le era giocate proprio tutte. Gli scocciò soltanto di cedere l’ultima, quella più preziosa, ad un cane che non si poteva chiamare bastardo soltanto perché aveva un prezioso petigreé, ma che bastardo lo era davvero.
Un ultimo sguardo a Principessa, era in salvo. Evidentemente era giunto il momento per lasciare il trono a qualche suo figlio, sicuramente rosso, dentro e fuori.
Pietro mi guardò sconsolato, voleva proprio bene al quel gatto spensierato pieno di dignità e di coraggio. Ma la vita dei gatti è così, non c’è nulla da fare.
Valerio Moschetti
27 agosto 2013