Scarpe di fango, mani di terra. Calli e nervi che stringono il manico di quella zappa. Gli occhi sempre umidi, la mezza cicca annerita resta in bilico tra le setole dei baffi e le labbra rugose. Un cappello di panno recuperato chissà dove, forse trovato in un regalo della lotteria del paese, un fiasco di vino, oramai vuoto, appoggiato al tronco del noce. E quella zappa che si alza al cielo e ricade tonfa, secca sulla terra che a malavoglia cede e si fa girare, rivoltare, scoprendo l’anima umida che conservava nascosta. Ti guardo lavorare senza che tu ti accorgi di me. O forse mi hai visto, ma quel meccanismo che ricorda un gioco a molla, dove tu alzi le braccia ed affondi la tua spada e le tue rabbie nel suolo, non si può arrestare. Ed io penso quali pensieri affollano la tua mente, dove si comperano quelle sigarette infinite che non finiscono mai, a quale mondo lontano appartiene la tua gioventù. Cosa pensa il tuo fegato di quel barbera scolorito che tutti i giorni cerca di trasformare in qualcosa di utile senza venirne soffocato. Hai mai fatto una febbre, un’influenza, una vacanza al mare. Quanto spazio ha trovato la tua anima dentro di te, tra la polvere di quella terra, la fatica di quelle ore sotto il sole. E lui, il sole, cala e diventa tutto buio. Allora prendi quella zappa e la metti in spalla. Ti incammini per andare, ma ti giri un attimo e mi fai un cenno per salutarmi.E nel tuo sguardo vedo la fatica di questo mondo, tutta la storia dell’uomo.
Il volto del Cristo che porta la sua croce.