TUNIN, un telepass per il paradiso

Nel paradiso dei cuori semplici sicuramente c’era un posto anche per lui e quel giorno quando è salito in cielo non ci sono state pratiche da sbrigare, burocrazia o conteggi di peccati; certe anime hanno un lasciapassare speciale che non gli fa fare neanche la coda. E’ come un telepass che il buon Dio gli ha consegnato alla nascita, quando un problema del cordone ombelicale, una febbre inaspettata o una caduta dalla culla si è portato via per sempre la possibilità di peccare, di essere in torto.

Così era Tonino, cuore gentile e puro. Docile come un bambino felice che salutava dal cancello quando passavi per andare a scuola. Ed era li che ti aspettava quando tornavi, prima di pranzo. Un giorno saltai la scuola, volevo sapere che cosa facesse tutta la mattina mentre io sui quaderni scrivevo appunti, ascoltavo il maestro, giocavo nel cortile. Tornai indietro, con la cartella sulle spalle e quando arrivai davanti al suo cancello restai a cercarlo con gli occhi, nel suo grande cortile con gli alberi . Mi appoggiai alle sbarre e lo chiamai ad alta voce, “Tonino, Tonino…”. Non c’era, non lo vedevo. Poi un movimento delle ciabatte al suolo, vicino, sulla mia destra. Era li, a pochi centimetri da me, oltre la rete. Gli occhi a terra, il suo capello di tela blu sulla testa e le mani impegnate a disfare uno straccio di stoffa colorata, separandone i fili.

“Tonino,” lo chiamai, “posso entrare?”. Ma lui si ciondolava da una gamba all’altra disfando quel pezzo di straccio. “Ciaooo. Vai a scuola, ciaoo, vai a scuola…” mi ripeteva sottovoce. Aprii il cancello, era il mio amico del mattino, di tutte le mattine. Si, perché tutte le mattine passavo di li per salutarlo e i suoi occhi mi riconoscevano e sorridevano. Era felice di vedermi ed io pensavo che un giorno gli avrei aperto il cancello, per farlo venire in giro con me. “E’ rimasto con il cervello di dieci anni” dicevano tutti. Io ne avevo solo due di più, non era poi cosi tanto. Giocavo spesso con i bambini più piccoli, nel torrente. E tutte le mattine pensavo quella cosa li, lo chiamo e lo porto a fare un giro. Chissà se ha mai visto il centro, se gli piacerebbe correre sino al mare. Ma lui ora guardava a terra e mi ripeteva solo di andare a scuola, vai a scuola. Io cercai di incrociare il suo sguardo, volevo ritrovare Tonino di sempre, ma lui mi scacciava la mano, innervosito. Ma vieni via con me, gli dissi più volte, vieni via che facciamo un giro, poi ritorniamo. Le sue mani cominciarono a tremare e tutti i suoi anni, quelli veri, quelli passati sulla sua pelle e non nella sua testa, si videro in un solo istante. Aveva le rughe, e gli occhi erano segnati sotto le palpebre. Le sue gambe poggiate male per colpa delle ciabatte consumate lo rendevano instabile, per un momento avevo paura cadesse, lui con tutti i suoi anni nascosti dietro quella siepe. Ero piccolo, si, ero un bambino ma mi ricordo che pensai a quella sua mente paralizzata, bloccata, dove i pensieri e le emozioni correvano su fili increspati, fini e fragili. Sentii come un ghiaccio dietro quella fronte, come se le strade del suo cervello facessero solo un piccolo giro, per ritornare sempre allo stesso punto. “Vai a scuola, ciaooo, vai a scuola…” mi continuava a ripetere. Senza toccarlo ritornai sui miei passi per uscire da quel cancello. Tornai verso casa, oramai era ora di rientrare. Vedevo le strade del mio cervello libere, aperte, piene di destinazioni che ancora non conoscevo. Ancora non sapevo che quel telepass per il paradiso non lo avevo con me perché il biglietto per quel viaggio dovevo guadagnarlo giorno per giorno. Tonino non lo trovai il giorno dopo ad aspettarti al cancello per salutarmi. Io avevo scoperto che i cristalli nella sua mente riflettevano una sola luce ma lui aveva capito qualcosa di più; che non si poteva fidare di me, che non sapevo stare al mio posto.

Quando le sue rughe diventarono troppo pesanti da portarle, Tonino se ne andò senza che nessuno lo venisse a sapere, se non fosse per quei quattro cartelli appesi nella piazza, due giorni prima del suo funerale.

Certe vite si inerpicano per le fatiche dell’esistenza, facendo rumore, facendo notizia. Altre si accendono come il piccolo lumino di una candela che un tenue soffio di vento riesce a spegnere, senza nessun rumore. Per quelle Dio ha costruito una corsia gialla, totalmente libera e  ha dato ad ognuno un telepass, per volare diretti in paradiso.

 

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