Alla ricerca dei delfini

tursiopiDouguly sonnecchiante era ancora solidamente ormeggiata al porto, anche se il sole era sorto oramai da alcune ore, e si lasciava dolcemente cullare dalle piccole onde che, sfuggite al controllo della diga foranea, giocavano a rincorrersi tra le chiglie delle barche del porto di Sanremo.
Sotto coperta Remo aspettava il rassicurante borbottio della caffettiera che si crogiolava sul fornello basculante e, nel mentre, ricopriva le fette biscottate con la marmellata di ciliege che Alessandra aveva portato da casa.
Salendo a bordo portavo con me il profumo della focaccia rustica appena sfornata che in un attimo raggiunse ogni angolo della cabina, rivoluzionando ogni progetto di colazione.
Intanto sopraggiunse Michela a completare l’equipaggio, giusto in tempo per gustare focaccia e caffé.
Fu un attimo trovarsi in armonia e mentre sciacquavo le tazze Remo e gli altri iniziarono le operazioni che preludevano la partenza, scuotendo Douguly dal suo torpore dal quale si riprese prontamente, borbottando parole incomprensibili con il suo motore da venti cavalli, vecchio diesel dal carattere affidabile.
Lasciammo il corpo morto in consegna alla galloccia sul ponte della barca di fianco ed in un attimo eravamo in mezzo al porto, iniziando le manovre per liberare la randa dalla sua coperta blu.
Il vento teso di sud-est la gonfiò immediatamente non appena la drizza venne in tiro e la vela si distese, offrendo al vento il suo lato migliore.
Douguly si lasciò portare dalla forza del vento, mettendo in tensione le sue strutture come un atleta che si stira al risveglio del mattino ed Ale prese immediatamente posto alla ruota del timone, cercando di interpretare al meglio quella brezza sottile ma intensa.
La chiglia della barca solcava le piccole onde senza avvertire le deboli scosse con le quali cercavano di opporsi al suo veloce incedere ed il leggero sbandamento dello scafo ci dava la sensazione del meraviglioso incontro di forze tra la pressione del vento ed il poggiarsi della deriva sul mare sottostante che si traduceva in uno scorrevole avanzare silenzioso.
Fu Michela a rompere il silenzio, accucciata al giardinetto di poppa, mentre da dietro gli occhiali scuri guardava l’orizzonte lontano.
“Andiamo a vedere i delfini” disse, con un tono che pareva la supplica di un bimbo che vuole andare alle giostre la domenica pomeriggio.
Ma anche con un fondo deciso che non ammetteva soluzioni differenti.
Poi in realtà il piacere di incontrare i delfini era comune a tutti noi e la giornata era quella giusta.
Io mi portai a prua e mentre aprivamo il fiocco per dare più vento alla barca, rimasi incantato a vedere la chiglia che apriva il mare sollevando una bianca schiuma frizzante.
Era il posto giusto per scattare delle foto. Navigammo su quella rotta per almeno due ore, il vento teso e costante ce lo consentiva e la sensazione che avremmo fatto incontri interessanti era cosa comune.
I delfini non tardarono ad arrivare. Le stenelle, giocose come i bambini nella ricreazione, adorano incontrare le barche a vela, silenziose e fluenti. Forse le credono misteriosi abitanti del mare, forse semplicemente raccolgono la sfida nell’affrontare i flutti in un gioco senza limiti.
Un gruppo di queste comparve all’improvviso ed io, appostato a prua, le vidi alternarsi ai lati della barca mentre, nuotando rapidamente cambiavano lato, o saltavano rapidamente a pochi centimetri da me.
La voce entusiasta di Michela fu accolta da quelle splendide creature come un benvenuto e si produssero in una serie infinita di avvitamenti di cui erano visibilmente compiaciuti.
Noi estasiati, guardavamo quelle acrobazie come un dono del creato, della natura potente che ci circondava..
Non eravamo in un parco a tema, quelli non erano animali ammaestrati che compievano movimenti prestabiliti da un ammaestratore, con la speranza di ricevere una sardina ammuffita.
Erano animali liberi come il vento, come il mare che li ospitava, come avrebbero voluto essere le nostre anime.
Ognuno di noi viveva quel momento come un regalo, un regalo da donare a chi si ama o semplicemente da conservare nel proprio cuore bambino, per sempre.
Così come erano arrivati, festosi ed agitati, i delfini si allontanarono quasi la campanella dell’intervallo fosse suonata per richiamarli in classe.
Fu l’occhio attento di Remo che, scrutando l’orizzonte attirò la nostra attenzione, indicandoci la seconda parte di quel meraviglioso incontro con la natura. Qualche miglio più avanti si notava con precisa alternanza lo spruzzo inconfondibile della balena. Anzi, due spruzzi, due balene, probabilmente una madre con il figlio che sicuramente si trovavano a pascolare in una zona ricca di plancton.
A noi non restava che continuare sulla nostra rotta nella speranza che quei due incredibili esseri venissero incuriositi e non spaventati dallo scafo bianco di Douguly, lasciandosi avvicinare.
Lentamente la distanza tra noi e loro si ridusse e ad un certo punto l’enorme schiena della madre ci apparve, a destra della prua, enorme come una montagna.
Forse non era a più di cinquanta metri, a me sembrava di sentirne il respiro, quasi il pensiero. Era enorme, aggraziata, sinuosa, nata per vivere in quel mare infinito. Al suo fianco con la sua stessa alternanza spuntò il capo del piccolo, se così possiamo chiamarlo, del quale scorsi l’occhio vigile che guardava curioso verso di noi.
Per un attimo mi immaginai che il nostro sguardo si fosse incrociato in un saluto pieno di ammirazione.
Ingenuamente mi nacque il pensiero che lui potesse ricordare il mio volto ed un giorno, se come Pinocchio fossi finito tra i fanoni di una balena, fosse lui a raccogliermi e salvarvi portandomi a riva. Pensieri bizzarri, fantasiosi, ma tale era quel momento, molto più simile ad una fiaba che alla realtà.
Anche loro dopo essersi mostrati qualche attimo che mi era sembrato eternità, si innabissarono quasi a ricordarci che il mare era il loro e che per noi ospiti, a volte desiderati a volte intrusi irrispettosi, era giunto il tempo di rientrare.
Invertimmo la rotta, il tempo stava cambiando e qualche ora di mare ci aspettava per tornare al porto.
Seduti al sole, nel pozzetto di poppa, cominciammo a raccontarci di avventure, incontri di mare, tempeste immense.
Sul tavolino comparvero panini e torta salata ed una buona bottiglia di birra. Le emozioni ed il mare aperto ci avevano fatto venire un grande appetito.
Con il vento al giardinetto, le vele gonfie di potente vento, ognuno di noi racchiuse nel cofanetto dei bei ricordi i momenti di quella giornata speciale.

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