La motonave scorreva docile e veloce sul mare calmo come l’olio, mentre la sua prua fendeva l’acqua aprendola come le pagine di un libro, per raccontare una storia meravigliosa e affascinante. Eravamo al largo delle coste liguri, in rotta verso il largo alla ricerca dei cetacei che popolano quelle acque. Sul ponte della nave i turisti armeggiavano con i loro binocoli scrutando l’orizzonte, altri si paravano dal riflesso del sole. Ognuno voleva essere il primo ad avvistare lo spruzzo inequivocabile di una balena, il salto giocoso dei delfini o il lento incedere di qualche tartaruga marina alla ricerca di un branco di sardine per pasteggiare abbondantemente. C’era silenzio a bordo, soltanto i bambini eccitati da quell’avventura correvano avanti e indietro, impazienti per l’incontro con le meravigliose creature del mare. La costa si allontanava velocemente e i dettagli, le case, l’autostrada, lentamente sparivano alla vista; solo i contorni delle colline rimanevano netti per poi, infine, diventare simili ad un’ombra lontana; eravamo in mare aperto, sotto di noi centinaia di metri di fondale, forse un migliaio, un mondo sconosciuto per tutti quanti, dove il tempo, le distanze e i suoni cambiavano dimensione. Eravamo un piccolo scafo galleggiante pieno di anime in attesa dell’incontro con i principi del mare, fratelli lontani che l’evoluzione delle specie avevano allontanato da noi come cugini emigrati in terre lontane in cui si parlava un’altra lingua, ci si vestiva in altro modo, mangiando altro cibo. Il mare, il meraviglioso immenso mare accoglieva quel piccolo mondo galleggiante ricco di vita, di emozioni prossime ad esplodere non appena la sua immacolata superfice si fosse increspata per una coda possente, un’evoluzione circense, uno sbuffo potente come un geyser irruento. Il comandante, attraverso il megafono di bordo, annunciò che il sonar segnalava la presenza di cetacei nel fondale sottostante e la frenesia contagiò tutti. Tutti si portarono a prora e quelli che non vi trovarono posto si sporsero a lato, dai mancorrenti, interpretando ogni piccola increspatura come il segnale di una prossima emersione. Poco dopo, come se un misterioso segnale avesse dato il via allo spettacolo più incredibile che la natura possa offrire in mare aperto, a dritta dell’imbarcazione, a circa un miglio, le sagome delle stenelle iniziarono a fuoriuscire festose saltando ritmicamente in un’alternanza che nessun coreografo avrebbe potuto immaginare migliore, avvicinandosi a gran velocità verso di noi. Lo squittire dei bambini furono un richiamo festoso al quale i cetacei non potevano essere indifferenti e in un attimo tutt’attorno alla nave, festosi, si affiancarono mostrandosi nella loro bellezza. Alcuni continuavano a saltare, molti avvitandosi in volo per ricadere in acqua in perfetto sincronismo. Altri, molto vicino allo scafo, si alzarono sulla coda nuotando con la schiena rivolta al senso di marcia, mostrando un sorriso compiaciuto per la grande festa che stavano creando a bordo. In tanti, tra i passeggeri, iniziarono a battere le mani mentre loro, i piccoli principi dell’acqua, continuavano nelle più disparate evoluzioni facendo a gara tra loro per stupire e raccogliere consensi. Erano decine, forse un centinaio, veloci a e agili e così eleganti nei movimenti da nascondere la grande potenza che esprimevano compiendo quelle capriole. Fu nuovamente la voce del comandante a richiamare l’attenzione di tutti, soverchiando le urla di piacere e l’entusiasmo dei presenti. Dritto davanti a prora, a circa un centinaio di metri, l’enorme dorso di una balena comune aprì il mare, sinuosa e possente, per poi immergersi lasciando per ultima la coda fuori dalla superfice, con cui diede la spinta che alzò la spuma bianca del mare. Per un attimo non accadde nulla, ma dopo un minuto, non di più, il mare iniziò a ribollire e la sua massa scura si stagliò di fronte a noi: la sua massa immensa emerse, lanciandosi verso il cielo, mostrandola in tua la sua mole. Restò in volo un istante, che a noi sembrò un’eternità, per poi ricadere richiamata dalle leggi della gravità verso la superficie da cui si alzarono spruzzi potenti. All’unisono tutti lanciarono un grido di stupore; sembrava che fosse a pochi metri dal natante anche se lei, ben sapendo quanto fosse duro scontrarsi con il metallo della ciglia, sapeva tenersi a dovuta distanza. Una corposa onda fece beccheggiare la nave, a dimostrazione che le sue dimensioni erano davvero importanti. Come in una pariglia di cavalli che guidano la carrozza le stenelle si disposero davanti a noi, divise in parti uguali tra destra e sinistra, cavalcando al gran galoppo la superfice azzurra. Vidi alcuni visi solcati dalle lacrime, la commozione era tanta. Uno spettacolo così non aveva eguali e non c’era prezzo che potesse ripagarlo. Chi batteva le mani, chi piangeva. I genitori teneva stretti a sé i bambini nel timore che eccitati volessero saltare anche loro in mare in quel festoso carosello che sembrava non avere fine. Invece, così come era iniziato, improvvisamente i cetacei sparirono, immergendosi nelle profondità del blu immenso. La motonave tornò ad incrociare differenti rotte, nella speranza di un altro incontro, senza esito. La costa era ormai così lontana che solo guardando con grande attenzione si poteva intravvedere qualche montagna più alta nella foschia che il caldo sole d’estate produceva, evaporando l’acqua sotto costa. Tornò lentamente la calma a bordo, mentre il comandante invertì la rotta nell’intento di tornare in porto. Erano già trascorse un paio d’ore e quindi altrettante ci aspettavano per rientrare. Fu allora che un marinaio, tal Barba, ci raccontò una storia, credo di fantasia, ma di questo non son certo. C’è un luogo, posizionato proprio al centro dell’Arcipelago dei Cetacei, dove ogni anno gli abitanti del mare si riuniscono per una grande festa. Tre o quattro giorni di giochi, appena prima della stagione degli amori. Sono, così raccontava il navigante, le Olimpiadi di Pelagos, il più grande evento del mondo sommerso. Da tutto il mediterraneo giungono i cetacei che lo abitano e non solo. Globicefali, stenelle, delfini e balene ma anche le Careta Careta, tartarughe comuni, pesci volanti e quintali di acciughe e sardine. Queste ultime sanno bene quale rischio corrono, ma non possono sottrarsi a quell’evento che la natura offre. Divisi in squadre e per specialità, ognuno si iscrive a queste competizioni variate. Per le stenelle e i delfini si tratta di gare di abilità, danza classica, doppi salti mortali e gare di velocità. Alle balene e ai cetacei più grandi è riservato il salto in alto. Nello specifico il record da battere consiste nel portare tutto il corpo, in verticale, fuori dall’acqua. Impresa che solo alcuni anni prima era riuscita ad un vecchio campione che ora si presenta soltanto per far parte della giuria. Le tartarughe sono impegnate in una gara di regolarità: devono nuotare lungo un percorso articolato tra tre scogli presenti sul fondo riuscendo a catturare il maggior numero di sardine o acciughe. Vince chi ha catturato il maggior numero di prede ma anche chi ha rispettato i tempi prestabiliti. Salto in lungo per i pesci volanti ai quali viene riconosciuto un punteggio aggiuntivo per ogni cambio rotta, in volo. Infine c’è il concorso di nuoto sincronizzato dedicato alle razze, delle quali sono indiscutibili maestre. Uno spettacolo che dura appunto tre giorni, a cui partecipano come spettatori tutte le creature del mare, compresi i gabbiani ai quali non interessano tanto le evoluzioni dei partecipanti, ma il gran numero di prede presenti tra i pesci intervenuti. Ovviamente nessun umano aveva accesso alla manifestazione anzi, non c’era traccia dell’evento su nessun libro e nessuna ripresa cinematografica lo aveva documentato. Solo lui, Barba, marinaio di lungo corso, aveva avuto l’occasione più unica che rara, di essere presente nell’edizione di alcuni anni fa. Lavorava al tempo su un traghetto che faceva rotta da Genova a Porto Torres. Durante la notte, pesantemente ubriaco, si era sporto a recuperare un tratto di cima penzolante fuori bordo e, perdendo l’equilibrio era finito in mare. Nessuno si era accorto dell’incidente e lui, cadendo in acqua, nonostante la gran confusione che l’alcool gli aveva procurato in testa, si rese conto immediatamente che era giunto alla fine dei suoi giorni. Mentre annaspava, cercando di ritardare la sua imminente e miseranda fine, si sentì sollevare dal basso. Per un attimo pensò che un qualche relitto galleggiante gli fosse occasionalmente venuto in soccorso. Invece si rese presto conto che il muso affilato di un delfino, si proprio un delfino, gli si era infilato tra le cosce sostenendolo, permettendogli di respirare. Non si riusciva a capacitare di questo incredibile fatto ma la cosa che ancor più lo lasciò senza parole fu il fatto che attorno a lui altri cetacei gli si affiancarono, sospingendolo. E così, tra uno spruzzo di mare e uno spintone nel fondo schiena, si ritrovò per quattro giorni in mare aperto, uno spettatore umano di quell’evento straordinario. Lo guardavo raccontare la sua storia a tutti i bambini, che gli si erano fatti attorno incantati. Tutti con la bocca aperta ad ascoltare Barba, mentre lui, sentendosi così al centro dell’attenzione, arricchì il racconto di minuziosi particolari. Gli sorrisi e lui mi fece l’occhiolino, rendendomi complice della sua fantasia. Ma questo non mi fece poi così piacere, preferivo essere come quei bimbi, affascinato da un racconto di mare che dopo quello che avevo visto nel pomeriggio, poteva anche essere il racconto di un fatto davvero accaduto. Poi, una volta in porto, mi attardai a scendere per stringergli la mano e lui, guardandomi serio, mi salutò concludendo: “Non dirlo a nessuno, ma è tutto vero…”. D’altronde, pensai, tutti quei delfini, balene e cos’altro ancora perché dovrebbero continuare ad esibirsi ogni giorno, se non per fare allenamento, in attesa delle Olimpiadi di Pelagos?
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.